IL NASTRO BIANCO
regia Michael
Haneke
con
Christian Friedel, Bulghart Klaussner, Leonie Benesch,
Ulrich
Tukur, Fion Mutert, Michael Kranz, Susanne Lothar
sceneggiatura
Michael Haneke
fotografia
Christian Berger
montaggio Monika
Willi
scenografia
Christoph Kanter
costumi Moidele
Bickel
produzione
Stefan Arndt, Veit Heiduschka,
Margareth Manegoz, Andrea Occhipinti
distribuzione
Lucky Red
durata 2h25m
Germania 2009
La trama:
La pace della comunità di uno sperduto villaggio del Nord della Germania degli
anni dieci, improvvisamente viene lacerata da fatti misteriosi che sembrano
riallacciarsi tutti ad un rituale punitivo. Un uomo viene fatto cadere da
cavallo, un bambino viene seviziato, un fienile dato alle fiamme ed anche un
suicidio rimane avvolto dal mistero. Intanto i bambini del paese sono tenuti
sotto la ferrea disciplina di un pastore protestante che li educa con estremo
rigore.
Il regista: Figlio
di un regista e di un'attrice austriaci,
ma nato a Monaco nel 1942, Michael Haneke inizia lavorando per la televisione
verso la fine degli anni sessanta. Il suo primo film è Il settimo
continente ('89), seguono Benny's video ('92), 71 frammenti di una
cronologia del caso ('94), Funny games ('97), Storie ('00),
La pianista
('01), Il tempo dei lupi ('04),
Niente da
nascondere ('05). Haneke è stato anche direttore dei teatri di Vienna, Berlino, Monaco,
Stoccarda, Dusseldorf, Francoforte e Amburgo. Nel 2007 ha diretto un remake
perfetto del suo film più popolare
Funny games.
Il film:
Un uomo corre a cavallo fra i campi. La scena nell'inquadratura è idilliaca e,
immersa in un bianco e nero d'altri tempi, ispira agresti sensazioni di quiete e
bucolica serenità. Lo stupore dello spettatore è totale quando una fune tesa fra due
alberi, causa la caduta rovinosa sia dell'uomo che del povero animale. Uno degli
elementi primari del cinema di Michael Haneke è già scattato, ha già ghermito lo
spettatore alla gola fin dalla prima inquadratura.
Il prendersi gioco del suo pubblico, il beffeggiarsi dei suoi astanti è già stato messo in
atto. E la platea è già disorientata e persa di fronte ad immagini di elegiaca
bellezza insozzate da improvvisi atti di violenza, crudeli quanto fastidiosi e
riprovevoli.
Questa l'apertura de Il nastro bianco, ultima fatica di uno dei più
importanti registi europei contemporanei, celebrata l'anno scorso come il suo
capolavoro, premiata a Cannes con la Palma d'Oro e vincitrice di molti altri
premi internazionali come l'European Film Award e il Golden Globe.
Che il cinema di Haneke ci avesse già abituato ad una visione non convenzionale
e mainstream nel senso più abusato del termine è cosa nota, e Il nastro
bianco non si svincola da questo assunto. Tornano sotto la solita
forma ricercata, autoriale, cerebrale, criptica del maestro austriaco temi
fondamentali del suo cinema quali il naturale istinto alla violenza dell'uomo,
la delicata malleabilità della mente e della psiche dei bambini, la
responsabilità degli adulti nella loro crescita e passaggio verso l'età della
ragione e delle responsabilità.
La storia raccontata ne Il nastro bianco, che pur sembrando tratta da un
romanzo è frutto di una sceneggiatura originale del regista, è quella di un
gruppo di bambini che poco prima della Grande guerra, in un isolato piccolo
villaggio del Nord della Germania, cresce con gli ideali e gli insegnamenti
severi e repressivi dei loro padri, se ne appropria in maniera
totale trasformandoli nei fondamenti di un assolutismo sociale e politico che
porterà qualche anno più tardi, alla nascita del Nazionalsocialismo.
Come già in altri suoi film, Haneke torna sulle responsabilità dei grandi verso
i più giovani, ma sembra in questo film volerne scandagliare le origini e le
radici più profonde.
Tutte le esperienze
della vita di un bambino diventano parte del suo carattere e della sua
personalità adulta. La violenza, non solo fisica, ma soprattutto psicologica a
cui è sottoposto in tenera età lo trasformerà in un adulto crudele, abietto e
insensibile alla pietà e all'indulgenza.
Il film si basa anche su un'asserzione
fondamentale ed universale; la violenza nasce dalla paura, dall'ignoranza, dalla
non conoscenza, e dal fatto che in ognuno di noi è insito un naturale istinto
verso di essa pronto a scattare in qualsiasi momento nel corso della nostra
vita, innescato da particolari
situazioni o circostanze
che siamo costretti ad attraversare. Nessuno è
immune dal commettere un potenziale crimine, e nessuno può affermare in tutta
serenità di essere innegabilmente certo che non ne commetterà mai.
E questo è in poche parole quello che Haneke dice fin dal suo primo film, e lo
fa attraverso una visione e sensibilità cinematografica personalissima ed
inimitabile. E' un cinema il suo che pone delle questioni, molte, ma non da
risposte. Lo spettatore lo sa, ed è costretto a ragionare a fondo sul materiale
proposto dal regista, ed a cercarne da solo le risposte.
Film austero, rigoroso, visivamente solenne con picchi di virtuosismo
stilistico, è il primo del regista recitato in tedesco in dieci anni. Nato da una coproduzione tedesca,
austriaca, francese e italiana (la Lucky Red di Andrea Occhipinti), Il nastro
bianco è anche il primo film di Haneke la cui storia è raccontata da una
voce off. Questo per sottolineare una sorta di distanza, un maggiore distacco
dagli eventi, che non hanno mai delle connotazioni ben distinte, non sono mai
totalmente chiari, nascondendo numerose possibili spiegazioni ai misteri che
pian piano si succedono sullo schermo. Anche la scelta di girare il film in
bianco e nero, lo straordinario, indimenticabile bianco e nero di
Christian Berger (candidato all'Oscar), è servita per rendere più
sfocato il contatto fra lo spettatore e la storia.
Il film scandaglia anche il peso dell'influenza della Chiesa all'interno della
società tedesca dell'epoca e del ruolo fondamentale che ricopriva
nell'educazione delle nuove generazioni. Gli eventi infatti, sono immersi nella
cultura religiosa severa e repressiva del protestantesimo, molto diffuso nel
Nord della Germania di allora e di oggi, raccontati con precisione analitica e
distaccata, attraverso la visione laica di Haneke.
Un attore durante le riprese ha chiesto al regista se fosse cattolico. "Se lo
fossi non avrei mai fatto questo film".
Per la ricostruzione delle atmosfere
giuste per il film, sono state fatte ricerche meticolose su libri e materiale
fotografico durate mesi, sulla scuola, sulla chiesa, sulla società contadina e
patriarcale del periodo, e le azioni quotidiane, consuete della vita di tutti i
giorni che vediamo riprodotte nella pellicola, seguono e rileggono fedelmente
rituali e tradizioni del tempo.
Non è stato possibile invece, trovare una casa padronale con intorno varie
dependance per la forza lavoro tipica del periodo, ancora intatta e immutata nel tempo così come richiedeva la
sceneggiatura. Gran parte di queste costruzioni della ex Germania dell'Est
infatti, sono oggi completamente in rovina oppure trasformate in lussuosi
alberghi o residenze private. Si è trovata quindi una casa padronale disabitata
da circa quindici anni, l'unica sembrerebbe in tutta la Germania con intorno
ancora tutto l'agglomerato di costruzioni abitate dai contadini, specifico dei
centri rurali dell'epoca, che è stata completamente riportata in vita, ripulita
e restaurata con uno sforzo produttivo non indifferente per una produzione di
nicchia come quella de Il nastro bianco.
Il risultato è stato però straordinario e le inquadrature dei minuziosi interni
come quelle campestri fuori della magione, riportano alla memoria capolavori di un
certo cinema del passato, riecheggiando ricordi di maestri come Visconti o Bergman.
Lungo e laborioso è stato anche il lavoro di ricerca dei visi giusti ad
interpretare sullo schermo l'intera comunità contadina riportata in vita dalla
pellicola. Oltre settemila bambini sono stati visionati dal casting per
selezionare i trenta che appaiono sullo schermo, di cui dieci in ruoli di primo
piano. Per quanto riguarda invece le interpretazioni degli adulti Haneke si è affidato sia a
professionisti con cui aveva già lavorato in passato, come Susanne Lothar (Funny
games,
La pianista), sia a nomi illustri della cinematografia tedesca come Bulghart Klaussner
(Requiem,
The reader) o
Ulrich
Tukur (Cacciatore
di teste).
V.M.
versione per la stampa