IN QUESTO MONDO LIBERO...


regia
Ken Loach
con Kierston Wareing, Juliet Ellis, Leslaw Zurek,
Colin Coughlin, Maggie Hussey
sceneggiatura Paul Laverty
fotografia Nigel Willoughby
montaggio Jonathan Morris
scenografia Fergus Clegg costumi Carole K. Fraser
musica George Fenton
produzione Rebecca O'Brien
distribuzione BIM
durata 1h32m

G.B. 2007
 

La trama: Angie è una madre single di un bambino di undici anni e lavora per una organizzazione che procura manodopera dai paesi dell'Est. Licenziata senza motivo, insieme all'amica Rose, decide di mettersi in proprio aprendo un'agenzia interinale per immigrati. La bellezza e la disinvoltura della giovane, legate all'esperienza acquisita nel campo, sembrano giocare a suo favore.


Il regista: Il regista più proletario del cinema inglese, nasce a Nuneaton, Inghilterra, nel 1936 e in quarant'anni circa di attività ci ha regalato una ventina di film, molti dei quali memorabili. Il suo esordio è nel 1967 con Pour Cow, seguono Kes ('70), Family Life ('71), Fatherlands ('85), L'agenda nascosta ('90), Riff-Raff ('91), Piovono pietre ('93), Ladybird, Ladybird ('94), Terra e libertà ('95), La canzone di Carla ('96), My name is Joe ('98), Bread and Roses ('00), Paul, Mick e gli altri ('01), Sweet sixteen ('02), Un bacio appassionato ('04), Il vento che accarezza l'erba ('06), Palma d'Oro a Cannes. Ha firmato uno degli undici capitoli del film collettivo 11 settembre 2001 ('02).


Il film: "Il terzo mondo è qui a Londra". L'essenza dell'ultimo bellissimo, sferzante film di Ken Loach sembra totalmente racchiusa in questa frase pronunciata con naturalezza e sconfinata disillusione da Karol, uno dei personaggi del film, forse l'unico a rimanere moralmente integro.
Loach, il cantore della povera gente, il chirurgo analitico dei nostri tempi moderni non è stanco di raccontare il proletariato più indifeso, disarmato, disorganizzato e sconfitto e torna con un grande, sconvolgente film sul mondo del precariato e del lavoro interinale, mettendo in scena un dramma incentrato sugli invisibili, sui disperati ai margini sempre più estremi di una società consumistica che in nome del profitto macina vite senza scrupoli.
Dopo le atmosfere bucoliche dell'Irlanda d'inizio secolo de Il vento che accarezza l'erba, il film che gli ha regalato la Palma d'Oro, Loach torna al quotidiano londinese, al mondo dei lavoratori sfruttati ed emarginati del cinema degli esordi, di quel cinema per cui è internazionalmente riconosciuto e che costituisce il suo humus artistico. Nel frattempo però, la società è cambiata e gli operai inglesi disorganizzati, che fanno lo squat, un po' fannulloni e ubriaconi che popolavano film come Riff-Raff  o Piovono pietre, sono stati sostituiti da un'umanità di invisibili, di esclusi dalla vita senza più un nome o un'identità sociale e culturale, clandestini, profughi ed emigrati in fuga dai più disparati luoghi del mondo in cerca di una possibilità. Un mondo libero  quello che ci racconta Loach, che ci circonda e con cui interagiamo ogni giorno, difficile da guardare in faccia e da considerare come conclamata realtà della nostra vita moderna, che ci viene mostrato dal regista senza remore o falsi moralismi, nella sua totale, amara, scintillante verità. Un mondo libero  di focalizzarsi solo sul profitto, sul prodotto finale, sul guadagno, libero  di concentrarsi solo sulla competizione, libero  di dare un prezzo a tutto, anche a vite schiacciate e diventate solo numeri, in nome di una globalizzazione di pensiero e di culture alienante, che priva le persone dei diritti primordiali.
L'urlo del regista arriva ancora una volta sferzante, acuto e di nuovo inesorabilmente senza speranza, lasciando i personaggi di In questo mondo libero... soli, arresi, senza forza se non quella di mettersi in guerra uno contro l'altro, senza più ideali o mete da raggiungere, ma solo in lotta per la sopravvivenza giornaliera. Loach abbandona l'idea di una soluzione positiva, di una speranza che seppur fievolmente concludeva opere estremamente dure come My name is Joe, Family life  o Piovono pietre, riavvicinandosi a quel suo cinema più disperato e cupo, che non lascia vie d'uscita come La canzone di Carla, Sweet sixteen, Paul, Mick e gli altri, donando alla sua ultima pellicola un'anima di estrema attualità e verità, ma disillusa e rassegnata.
Il personaggio principale di Angie, giovane ragazza madre, cinica e senza scrupoli, che crede di poter riuscire a dare una svolta alla sua vita fatta di una lunga serie di innumerevoli sbagli, è forse quello per cui si prova più pena e compassione, in quanto ignaro fino alla fine di non essere migliore di qualsiasi altro immigrato che lei tradisce, e di essere lei stessa una vittima e nient'altro che un numero. Ha passato la sua vita da un lavoro mal pagato all'altro, sempre precaria, sempre a rischio di licenziamento, divide l'appartamento con una laureata che lavora in un call-centre, da sempre sfruttata ora decide di essere lei a sfruttare gli altri.
Per la prima volta sullo schermo in un ruolo da protagonista, la sconosciuta attrice inglese Kierston Wareing, di straordinaria bravura, dalla presenza scenica notevole e di naturale spontaneità, aggiunge un altro grande ritratto femminile di disperazione e rabbia al lungo elenco di eroine protagoniste dei film del regista. La Wareing ha dichiarato in un'intervista che Ken Loach ha "salvato" la sua carriera di attrice. Dopo una decina d'anni di gavetta che non l'avevano portata da nessuna parte, aveva infatti deciso di abbandonare il mestiere di attrice quando fu scelta dal regista per la parte di Angie, ruolo che le ha dato molta notorietà, soprattutto a Venezia dove la sua interpretazione è stata fortemente ritenuta meritevole della Coppa Volpi (andata poi a Cate Blanchett per Io non sono qui), e che le ha già garantito ingaggi per altri importanti film.
Presentato in concorso a Venezia 2007, dove ha vinto il premio per la sceneggiatura del fedele Paul Laverty, In questo mondo libero... è un film che tutti dovremmo vedere sentendolo quasi come un dovere. Un ritratto lucido del mondo in cui viviamo, spietato e senza speranza, che arriva forte e violento da un regista longevo, ma non ancora stanco di raccontare la deriva del nostro mondo attuale.
                                                                                                                      V.M.
 

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