L'OSPITE INATTESO
regia Thomas
McCarthy
con Richard
Jenkins, Hiam Abbass, Haaz Sleiman,
Danai Jekesai Gurira, Marian Seldes
sceneggiatura
Thomas McCarthy
fotografia
Olivier Bokelberg
montaggio Tom
McArdle
scenografia John
Paino
costumi Melissa
Toth
musica Jan A. P.
Kaczmarek
produzione Mary
Jane Skalsky, Michael London
distribuzione
Bolero Film
durata 1h40m
Usa 2008
La trama:
Walter Vale conduce una vita monotona e senza interessi come professore di
Economia in una università del Connecticat. Recatosi a New York per un convegno,
scopre che il suo appartamento in città è stato occupato illegalmente da una
coppia di immigrati clandestini, Tarek e Zainab. Dopo un'iniziale freddezza, fra
i due uomini nasce un'amicizia sincera che a poco a poco riporterà Walter alla
vita. Fino a quando Tarek non verrà incarcerato.
Il regista: Attore,
sceneggiatore e regista, Thomas McCarthy nasce nel 1966 in New Jersey. Il suo
volto come attore è piuttosto noto essendo apparso in molti film di successo
come Flags of
our fathers,
Lettere da Iwo Jima,
Syriana,
Good night and good luck, Ti presento i miei, e diverse serie tv
come The wire e Boston public. Nel 2003 The station agent,
il suo primo film come sceneggiatore e regista, gli regala svariati premi e
riconoscimenti ai Bafta, Sag e Writers Guilds of America, e lo mette in risalto
come nuovo autore del cinema indipendente.
Il film:
"In un mondo di sei miliardi di persone, ne basta soltanto una per cambiarti
la vita".
In queste poche parole che compongono il bellissimo sottotitolo del film, è
racchiusa l'essenza de L'ospite inatteso, piccola pellicola indipendente
emersa dal panorama dell'ultima stagione cinematografica americana, dichiarata
dalle maggiori testate statunitensi (The Hollywood Reporter, New York
Post) come una piccola meraviglia e considerato fra i migliori film
dell'anno.
La storia è quella di un risveglio alla vita, di un riaprirsi a emozioni e
condivisioni da tempo sepolte sotto spessi strati di inettitudine e volontario
isolamento dal mondo.
Protagonista di un racconto multietnico, senza confini e attualissimo, un
professore di mezza età che vive in solitudine e isolamento, avendo perduto
l'antica passione verso l'insegnamento e la scrittura, e che cerca di riempire
il vuoto della sua esistenza ostinandosi senza troppo entusiasmo né successo, a
voler imparare a suonare il pianoforte. Il regista ci informa all'inizio del
film di una recente perdita nella vita di quest'uomo ma lo fa in maniera molto
riservata e appena accennata, non essendo questo il fulcro del racconto, né
tantomeno il motivo scatenante l'apatia verso il mondo manifestata dal
protagonista. La solitudine di quest'uomo verrà infranta dal caso, che lo
getterà in una situazione per lui del tutto nuova e inaspettata a cui non è
emozionalmente pronto. Le esperienze attraverso cui sarà costretto a passare,
pur nella loro drammaticità, spingeranno Walter ad interrogare se stesso sulle
questioni fondamentali dell'esistenza umana ed a porsi nei confronti della vita
e degli altri in maniera del tutto diversa, facendogli riassaporare il piacere
di sentirsi vivo, da tempo perduto.
Nel racconto sarà molto presente uno strumento musicale che acquisirà una
simbologia molto importante e definita nel film, il Djambè, tipo di tamburo africano che
si suona in gruppo, in segno di amicizia e comunità. Il gruppo di musicisti si
forma spesso casualmente e chiunque vi si può unire senza chiedere o dire nulla,
apportando il proprio contributo in chiave di ritmo ed energia personali, ed
acquisendone allo stesso tempo dal resto del gruppo, in una sorta di osmosi
continua di sensazioni e forza spirituale, sostenuta da un contagioso spirito di fratellanza. Proprio
quello che Walter ha perduto nella sua vita e di cui ha inconsciamente bisogno.
Fra le scene più genuine e spontanee del film, proprio quelle in cui si suona il
Djambè a Central Park, dove tutto quello che si vede sullo schermo è reale, con
passanti e persone comuni (non attori o comparse) che spontaneamente si sono
unite alla troupe, cantando e ballando durante i vari ciak.
Questa volta il titolo italiano sembra essere più incisivo e denso di
significato rispetto all'originale The visitor. L'ospite, ma soprattutto
il suo arrivare all'improvviso, come sottolineato dal titolo nostrano, si apre a
differenti ed interessanti chiavi di lettura, in quanto può essere interpretato
sia come l'arrivo improvviso dei due clandestini nella vita del professore, che
come l'incontro con Mouna o, più universalmente come il suo ritorno alla vita, o
ancora visto dal punto di vista contrario, come un accadimento fortuito nella
vita di Tarek e Zainab.
Ma il film non è soltanto una storia di amicizia, tolleranza e riscoperta della
vita; è anche e soprattutto un'aspra denuncia dell'attuale situazione di
precarietà ed incertezza sociale in cui versano le comunità multietniche che
vivono negli Stati Uniti, diretta conseguenza dell'era post 11/9. L'America che
traspare dallo schermo è quella di una nazione impaurita, sulla difensiva, in
continuo stato d'allerta. La visione ripetuta di bandiere a stelle e strisce e
di striscioni di sostegno alle truppe al fronte, ricordano allo spettatore che
l'America di oggi è sotto tutti gli aspetti un paese in guerra, capace di
calpestare i più primordiali diritti civili in nome della salvaguardia della
propria sicurezza. Ed i colori, la goliardia, il flolklore di una New York
piuttosto inedita al cinema, che la fanno apparire molto vicina ad una
multietnica città europea, non bastano a cancellare la sensazione di continuo
pericolo e precarietà che traspare dai volti rassegnati ma sempre all'erta dei
protagonisti, ma sottolineano piuttosto la minaccia onnipresente di istituzioni
cieche e indifferenti ai destini delle persone.
Il regista, confermando il talento dimostrato nella sua toccante opera prima, il
quasi sconosciuto The station agent, mette insieme in un cast armonioso
ed equilibrato, quattro splendidi attori, che giocano fra loro un curioso
patchwork generazionale (due veterani e due giovani) geograficamente variegato
(un americano, una palestinese, un libanese e una zimbabwese). Al giovane Haaz Sleiman,
già apparso in qualche film e serial tv (24), si affianca
Danai Jekesai Gurira, alla sua prima prova cinematografica, mentre nei due
ruoli più maturi troviamo la celebre attrice palestinese Hiam Abbass (Munich,
Paradise now)
e un sorprendente Richard Jenkins, attore prevalentemente teatrale e televisivo
(Six feet under), che con la sua interpretazione ha mietuto
riconoscimenti universali, comprese le candidature ai Golden Globes e Oscar come
miglior attore.
V.M.
sito ufficiale del film:
www.thevisitorfilm.com
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