PARADISE NOW

regia Hany Abu-Assad
con Kais Nashef, Ali Suliman, Lubna Azabal,
Amer Hlehel, Hiam Abbass, Ashraf Barhoum
sceneggiatura Hany Abu-Assad, Bero Beyer
fotografia Antoine Heberlé
montaggio Sander Vos
scenografia
Olivier Meidinger costumi Walid Maw'ed
musica Jina Sumedi
produzione Bero Beyer
distribuzione Lucky Red
durata 1h30m

Palestina 2005
 

La trama: Said e Khaled sono amici fin dall'infanzia e vivono nei territori palestinesi di Israele. Le paure, le indecisioni e il senso di dovere dei due giovani raccontati nelle ventiquattro ore che li separano dall'attentato suicida a Tel Aviv per cui sono stati scelti. Un modo per fuggire dall'inferno di ogni giorno trovando il Paradiso.


Il regista: Scrittore, produttore, documentarista e regista, Hany Abu-Assad nasce a Nazareth nel 1961. La sua prima regia è 14e kippetje, Het  del 1998, seguita da Nazareth 2000 ('00), Ford Transit ('02) e Another day in Jerusalem ('05). Dopo il successo di Paradise Now  ha girato un nuovo film intitolato L.A. Cairo, non ancora uscito.


Il film: Può sembrare arduo, quasi impossibile raccontare in un film di finzione una realtà così assurda e folle, tanto attuale come quella dei martiri suicidi in Israele, che si lasciano dilaniare portando via con sé tante altre vite, in nome di Dio e dell'ingiustizia terrena. Paradise now  ci riesce mirabilmente non lasciandosi incastrare nel filone del film politico o fanatico-religioso, ma semplicemente raccontando la storia di due uomini, la loro vita di tutti i giorni, la loro storia terrena, mai presentandoli come eroi, politici o religiosi che si voglia.
Il film dà informazioni a noi occidentali che non viviamo in Medio Oriente, e mal capiamo la realtà del luogo e l'atteggiamento delle persone del luogo verso la loro vita di tutti i giorni. A pensarci bene sembra quasi inaccettabile l'idea di vivere in un luogo dove in qualsiasi momento della nostra vita potremmo essere vittime innocenti di un attacco suicida, che potrebbe colpirci per la strada, al ristorante o sull'autobus mentre andiamo al lavoro; l'idea stessa che ciò potrebbe succedere in qualsiasi istante è per noi inaccettabile. Eppure milioni di persone vivono questa situazione ogni giorno e sono obbligati a conviverci.
Il film focalizza l'importanza di una presa di coscienza, le conseguenze di una decisione, presentandoci Said e Khaled come due giovani normali, amici da anni, che lavorano come tutti e che come tutti vedono le loro vite impedite, costrette da muri di separazione, da check-point infiniti, da attese interminabili e continui controlli dell'esercito. Due giovani che un giorno sono chiamati a qualcosa di più grande di loro.
Un film che racconta l'umanità dal punto di vista più intimo, la paura, la presa di coscienza di fronte alla richiesta di un atto estremo, il tumulto interiore e la ricerca di un equilibrio mentale e emozionale davanti alla scelta fra il dovere e l'istinto di sopravvivenza. Un film intimo che mai sfiora la facile tentazione dell'effetto mediatico, mai mostra quello che i telegiornali invece si affrettano a mostrare, mai va oltre il racconto personale e privato di due vite, ma che mantiene sempre alto il livello drammaturgico ed emozionale. Un film che urla da ogni sua sequenza il disperato bisogno di pace di due popoli, rappresentato metaforicamente dall'unico personaggio femminile, Shula, simbolo della voce della ragione, della ragionevolezza e della pace, che cerca di interporsi come ostacolo alla folle azione suicida.
La parola Paradise  del bellissimo titolo, nel suo ambivalente significato racchiude il desiderio di raggiungimento sia del Paradiso eterno da parte dei martiri dopo l'attentato, che di quello terreno per il popolo di Palestina.
Il film è molto realistico, e per la sua preparazione gli autori si sono documentati contattando l'avvocato difensore di alcuni mancati martiri cha hanno fallito e che sono stati arrestati, e leggendo i resoconti della polizia a seguito di attentati non riusciti in cui il kamikaze aveva spinto il bottone della bomba che non è esplosa. Il regista ha voluto girare tutto il film nei luoghi reali e non in studio, con mezzi tradizionali, confrontandosi spesso con l'ostilità dell'esercito palestinese e della popolazione.
Paradise now  è stato presentato al 55° Festival di Berlino in concorso, dove ha vinto il Premio del Pubblico, come Miglior Film Europeo e il premio Amnesty International.
Internazionalmente il film ha vinto un totale di tredici premi importanti fra cui il Golden Globe come miglior film straniero, ed è stato candidato all'Oscar sempre nella stessa categoria.
                                                                                                                     V.M.


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