THE TREE OF LIFE
regia Terrence
Malick
con Brad Pitt,
Sean Penn, Jessica Chastain,
Fiona Shaw, Joanna Going, Hunter McCracken
sceneggiatura
Terrence Malick
fotografia
Emmanuel Lubezki
montaggio Hank
Corwin, Jay Rabinowitz,
Billy Weber, Mark Yoshikawa scenografia
Jack Fish
musica Alexandre
Desplat
costumi Jaqueline
West
produzione
Sarah Green, Bill Pohlad, Brad Pitt,
Dede Gardner, Grant Hill
distribuzione
Rai Cinema
durata 2h10m
Usa 2010
La trama:
L'infanzia di Jack, insieme ai due fratelli ed ai genitori nel piccolo centro di
Smithville, nell'America rurale degli anni cinquanta. Una volta adulto, di
fronte ai dolori ed alle sfide a cui la vita lo ha messo di fronte, il ricordo
della dolcezza dell'amorevole madre insieme alla rigidità ed alla disciplina
militare degli insegnamenti del padre, lo aiuteranno a superare un momento molto
buio della sua esistenza, che lo vede perso e disilluso nei confronti
dell'umanità intera.
Il regista: Una
delle figure più leggendarie e misteriose del cinema americano, Terrence Malick
nasce nel 1943 in Illinois, e passa l'infanzia fra Oklahoma e Texas. Vissuta una
vita piuttosto frenetica in cui è stato agricoltore, operaio, minatore,
professore di filosofia e giornalista, approda quasi casualmente al cinema nel
1973 con La rabbia giovane, miglior film al Festival di San Sebastian,
seguito nel 1978 da I giorni del cielo, miglior regia a Cannes, quattro
nominations e un Oscar alla fotografia. Questi due soli film ne hanno fatto un
maestro del nuovo cinema americano a cui decine di cineasti fanno riferimento.
Dopo una pausa di molti anni che lo vede ritirarsi dalle scene pubbliche (non
appare in pubblico da trent'anni), torna al cinema nel 1998 con uno dei
capolavori del cinema bellico, La sottile linea rossa, Orso d'Oro a
Berlino e sette nominations agli Oscar. Segue
The new world nel 2005.
Il film:
Epocale ritorno di
Terrence Malick con un film-evento definitivo, estremo e irrinunciabile sul
significato della presenza umana nella natura.
Interrogo il silenzio di quella luce, piango per il vuoto colmato, incontro il
vento sotto l'albero, sento i rami come dita, le foglie tra i capelli, il
respiro dalla terra, la creazione cullata da un'altalena. Perché,
tutto attorno, Terrence Malick zittisce i dialoghi, tiene in pugno la vita come
seme schiuso, lascia che la macchina da presa ondeggi come pulviscolo nell'aria,
constata l'assenza, ama e piange. Si ricorda di un verso di Giobbe e sa che da
quelle parole non ci sarà
un possibile ritorno. "Dov'eri tu quando io fondavo la terra? / Dillo, se hai
tanta intelligenza. / quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme / e
tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia?". La via della natura e la via
della grazia.
È vero che ogni suo film
è un evento, una
percezione paragonabile alla sola eccezionalità
di Stanley Kubrick, ma con The tree of Life, vincitore della Palma d'oro
al Festival di Cannes, siamo molto al di là
di un discorso sul cinema e sull'esistenza. Perché
se il cinema e la vita riportano un significato leggibile
è certamente
questo. The tree of life è
una Sottile linea rossa prima della guerra, un
New World
scampato alla colonizzazione. È
quello che questi due film dovevano essere in un concetto di arte che soverchia
l'idea stessa di mercato. Ora l'industria non conta più
per Malick. Vale solo l'essere umano e ancora di più
la terra che accoglie l'impronta della sua mano.
Senza entrare in nessun particolare della trama, sarebbe criminale, diventa
fondamentale un discorso sulla macrosequenza di mezz'ora che risponde a questa
domanda formulata da una madre: "Come sei arrivato a me? Sotto quale forma?".
questo flusso d'immagini che va dal Big Bang alla crescita del bambino
è un
percorso senza precedenti. Un azzardo con cui Malick fissa su pellicola la
natura divina della sua etica del mondo naturale, qualcosa di linguisticamente
ma non moralmente simile ai deliranti 20' conclusivi di Enter the void
di Gaspar Noé,
che compie però
il percorso in direzione inversa.
Il grande disegno di The tree of life si fissa nella metafora salda
e costante della cura del giardino di casa: il luogo del gioco, della durezza
delle regole, della bellezza, del lavoro, la radice dei ricordi e la crescita
del dolore. Al centro Malick ci mette una figura paterna (Brad Pitt) che sembra
uscita da Le correzioni di Franzen. Attorno, invece, si concede la
libertà
di passaggi elevatissimi. Vediamone un paio molto periferici al racconto. Un
dinosauro ferito nel letto di un torrente
è raggiunto da un
predatore che lo immobilizza ma prosegue senza cibarsene:
è l'armonia della
natura poco prima di scomparire, un'equità
che rappresenta anche il destino umano. Il furto da parte di un ragazzo di una
sottoveste poi gettata nel fiume: un concentrato sconvolgente di rabbia, pubertà,
fuga, senso di colpa e affermazione dell'io.
Esempi che dimostrano come siamo, nel tentare un parallelo arduo ma possibile,
agli antipodi del
There will be blood
di Paul Thomas Anderson: la luce della natura contro la sua oscurità
(le due sequenze iniziali), la domanda fiduciosa e quella cinica ("Dov'eri
tu? Perché
dovrei essere buono se tu non lo sei?"), la via della grazia e quella del
destino, l'educazione e la predicazione, l'albero e il petrolio. E l'assenza,
che sempre assenza è.
Anche perché
un altro cinema e un'atra esistenza, dopo questi, non avranno più
significato.
M.Z.
versione per la stampa