IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA
regia Luc e
Jean-Pierre Dardenne
con Cécile de
France, Thomas Doret, Jérémie Renier,
Fabrizio Rongione, Egon Di Mateo
sceneggiatura Luc
e Jean-Pierre Dardenne
fotografia Alain
Marcoen
montaggio
Marie-Hélène Dozo
scenografia Igor
Gabriel
costumi
Maira Ramedhan-Levi
produzione Luc e
Jean-Pierre Dardenne
distribuzione
Lucky Red
durata 1h27m
Belgio 2011
La trama:
Da quando suo padre lo ha abbandonato in un centro di accoglienza per
l'infanzia, per il dodicenne Cyril non esiste altro che il ritrovarlo. Durante
una delle innumerevoli fughe dal centro, incontra casualmente Samantha, una
parrucchiera che decide di aiutarlo a rintracciare suo padre e che lo ospita nei
fine settimana. Nel corso del tempo passato insieme, la donna si affeziona
sempre di più al giovane che sfoga il bisogno d'affetto con improvvisi scatti di
rabbia.
I registi: Nati
rispettivamente nel 1951 e nel 1954, i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne sono
considerati ormai da tempo maestri del cinema belga d'autore. Iniziano come
documentaristi e nel 1975 fondano la casa di produzione Derives con cui
realizzano una sessantina di documentari. Passano al cinema nel 1987 con
Falsch, seguito da Je pense a vous ('92), La promesse ('96),
Rosetta
('99) Palma d'Oro a Cannes, Il figlio ('02),
L'enfant
('05), altra Palma d'Oro, e Il matromonio di Lorna ('08), miglior
sceneggiatura sempre a Cannes. Sono fondatori dal 1994 della casa di produzione
cinematografica Les films du fleuvre.
Il film:
"Riaggancia
Ciryl ", anche se il telefono è una consolazione subito colta dalla macchina
da
presa. "Riaggancia ora ", perché l'assenza di un padre
vale più di un pianosequenza.
"Ancora solo un tentativo di chiamata e se il numero risulta inesistente te
ne dovrai fare una ragione ", finché speranza e dolore tingeranno d'antico
la traccia del cinéma vérité.
Una
sequenza sola e poi di corsa con l'obiettivo dietro la nuca del piccolo Ciryl.
Il cinema di Luc e Jean-Pierre Dardenne si amplia rispettando il consueto metro
linguistico, sfiorando quella che sarebbe stata una clamorosa terza Palma d'oro.
Non
è
Il figlio,
comunque, questo Il ragazzo con la bicicletta. Non c'è quell'ossessione
corporale quasi a bucare la testa del protagonista. Si nota subito più spazio
libero nelle inquadrature, gli esterni di frequente in campo lungo e una
determinazione ossessiva della costruzione dell'immagine che deve più qualcosa
al cinema francese degli anni '60. I Dardenne vincono il Gran Premio della
Giuria al festival di Cannes con una storia minimale, praticamente neorealista:
il bambino Ciryl vive in un istituto, suo padre scompare senza dirgli niente e
lui si mette a cercarlo con l'aiuto della donna che lo ha in affido durante i
weekend; lui si aggrappa emotivamente alla bicicletta come simbolo dell'affetto
paterno. Ma sarebbe imprecisa una lettura de Il ragazzo con la bicicletta
nella sola ottica del pedinamento della realtà. Gli autori di
Rosetta e
Il matrimonio di
Lorna lavorano, come sempre, sui margini dell'inquadratura spaccando il
confine tra visibile e messinscena. Si segue Ciryl nel suo percorso che non si
conclude con il ritrovamento del padre, ma l'attenzione è catturata da quello
che cade nello sfondo di ogni scena per le brusche sterzate della macchina da
presa. Spesso il significato stesso delle sequenze può essere risolto dalla
semplice domanda se
è
casuale o no quello sguardo, quell'inciampo nella camminata o il passaggio di un
auto per la strada. Per questo in uno dei momenti più segnanti del film c'è
semplicemente Ciryl, piegato sul lavandino da barbiere che sente scorrere
l'acqua sotto le dita, non solleva mai il capo e continua a porre domande sul
senso del suo distacco dal padre. Poco dopo arriva un lungo piano sequenza con
il dialogo tra genitore e figlio e ti rendi conto di come il cinema non sia solo
una questione di storie raccontate bene o male, ma di momenti da cogliere al
volo, di persone su cui si abbattono il tempo e lo spazio, come esistenze in
cerca di una ragione d'essere nello sguardo altrui. In quei minuti rientra anche
la conferma della possibilità del dolore.
Nei giorni della presentazione a Cannes si è parlato di temi dickensiani,
effettivamente presenti. Ma l'allargamento di visione rispetto ai film
precedenti dei due fratelli belgi riguarda piuttosto la natura degli aut aut
affettivi. Ne Il ragazzo con la bicicletta c'è, ad esempio, qualcosa di
Sweet Sixteen
- non per niente il miglior film di Loach negli ultimi dieci anni - solo che
alle questioni morali si sostituiscono proprio quelle affettive. Quanto allo
spessore dell'esistenza - difficile parlare di etica - i Dardenne risolvono
tutto con cinque accordi musicali ripetuti nei passaggi da un atto all'altro
della sceneggiatura. Ciryl corre come il piccolo Antoine di Truffaut. Stringe la
bici e parte in cerca del suo mare.
Quello
che trova non
è un fermo immagine sul suo viso.
M.Z.
versione per la stampa