MELANCHOLIA

regia Lars von Trier
con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland,
Alexander Skarsgard, Cameron Spurr, Charlotte Rampling

sceneggiatura Lars von Trier
fotografia Manuel Alberto Claro
montaggio Morten Hojbjerg,
Molly Marlene Stensgaard

scenografia Jette Leman costumi Manon Rasmussen  
produzione Meta Louise Foldager
distribuzione Bim
durata 2h16m

Danimarca 2011                                                              
    
 

La trama: Due sorelle legate ma profondamente diverse l'una dall'altra, affrontano in maniera opposta un imminente cataclisma che minaccia la Terra, entrata in piena rotta di collisione con il pianeta Melancholia. Claire la maggiore, attende la probabile fine dell'umanità con angoscia e preoccupazione, esasperata soprattutto dal pensiero del figlioletto Leo. Justine, più giovane e disinvolta, si ritrova invece molto in sintonia con l'energia negativa sprigionata dal pianeta.


Il registaFra i più grandi registi contemporanei europei e co-fondatore del celebre movimento cinematografico Dogma, Lars von Trier nasce a Copenaghen nel 1956 e dopo un inizio nel mondo dei videoclip e della pubblicità, esordisce al cinema con L'elemento del crimine ('84), a cui seguono Epidemic ('87) ed Europa ('91). Parallelamente dirige per la tv Medea ('87) e il rinomato The kingdom, diviso in due serie del '94 e '97. Le onde del destino ('96) e il Gran Premio della Giuria assegnato al film a Cannes, lo lanciano definitivamente sul palcoscenico internazionale. Seguono Idioti ('98) e Dancer in the dark, Palma d'Oro a Cannes nel 2000. Dogville ('03) e Manderlay ('05) costituiscono i primi due capitoli di una trilogia dedicata all'America, che dovrebbe concludersi con Washington, non ancora girato. Ancora nel 2006 ha diretto Il grande capo e nel 2009 torna in concorso a Cannes con Antichrist.


Il film: Il film apocalittico di Lars von Trier risponde indirettamente a The tree of life  di Terrence Malick sia dal punto di vista stilistico che esistenziale.
È la furia d'immagine, eternamente splendente, che Lars von Trier ha esiliato dal suo cinema dal tempo della trilogia "Europa" (L'elemento del crimine, Epidemic  e Europa, tutti richiamati più o meno direttamente). Vederla tornare con l'impeto così selvaggio dei super slow-motion di Melancholia  stringe il cuore al pensiero di ciò che il Dogma 95 ha distrutto al fine di restituircelo solo ora, bagnato da un esistenzialismo disperato. Con l'aggiunta di un dubbio: è l'amore che è sublimato dalla scomparsa del tutto o il tutto a trovare un senso, se ce l'ha, in quel rituale del sentimento?
Lars von Trier, quindi. Partendo da una coincidenza su cui ci sarebbe molto da dire: il prologo "ateo" di Melancholia, con le sue immagini sospese sulla fine del mondo, fa pensare istintivamente a quello "sacro" sulla nascita della vita di The tree of life, ma ci ragioneremo alla fine. Prima va in scena un altro film, ambientato durante una cerimonia di nozze nello stile dogmatico di Festen: dall'impossibile felicit
à di facciata all'annientamento dei legami famigliari. Qui scatta un meccanismo in più, perché von Trier intervalla il dramma agli sguardi verso il cielo, dove si comincia ad intravedere un pianeta in avvicinamento verso la Terra. E vengono in mente le parole che il perfido danese mette in bocca a Charlotte Rampling: "Non credo nel matrimonio, specie quando coinvolge i membri della mia famiglia. Godetevelo, finché potete". Questo destino umano aggrappato alla natura dei sentimenti, come in Malick, ma con il significato opposto, collega in modo inaspettato Melancholia a quell'incubo misogino che era Antichrist, sia a livello visivo che tematico. I simboli, del resto, sono inequivocabili. Nella prima sequenza la coppia resta bloccata per la strada a causa della limousine, che deve portarli al ricevimento ma è troppo lunga per fare manovra. Poi c'è la festa, continuamente ostacolata, e la sposa che immagina se stessa mentre cammina tirandosi dietro dei lunghi fili grigi.
Melancholia
è il Titanic dei sentimenti, della convenzione borghese e di tutta la società occidentale, il film apocalittico nascosto da sempre dietro la sceneggiatura di ogni opera del regista di Dancer in the dark. Un testo che, nonostante lo stile, fa pensare anche a Bergman per quel senso di attesa che accosta i personaggi al significato della vita e dei legami.
Lars, per
ò, corrode anche l'ultima cosa rimasta all'essere umano: la possibilità di unirsi agli altri. Prima della morte Melancholia  ci offre, infatti, la solitudine, o il nulla, come dice una sconvolta Kirsten Dunst. Il regista cerca il volto dell'attrice premiata a Cannes con inquadrature sconvolte dagli zoom e dall'instabilità al fine di restituire una percezione che non registra la realtà ma estende il suo sguardo inquieto. A lei tocca anche la battuta che ci riporta a Malick: "Io so che siamo soli e che la vita sulla Terra è cattiva. La vita è solo sulla Terra, e ancora per poco".
Ecco, Lars von Trier risponde alla domanda posta da Malick alla metafisica: "Dov'eri tu? Perch
é dovrei essere buono se tu non lo sei?". Non c'è niente e non ci sarà niente, perché è la fine a definire l'inizio e non vice versa.
Poi c'
è il destino di Kirsten Dunst, che è anche il nostro e che sottintende una crudeltà razionalmente inaccettabile. Il cuore invece lo capisce se la fine la raccontiamo con parole rubate ad Eugenio Baroncelli: "Rallégrati! Non vado verso il nulla, ma lo sto lasciando. Verso la fine la sua luce diventò lucida come uno specchio. Mandava bagliori che feriscono, come il sole quando incontra le luci della sera". Finalmente sei arrivato, Melancholia.
                                                                                                                        M.Z.


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