SOUL KITCHEN

regia Fatih Akin
con Adam Bousdoukos, Moritz Bleibtreu, Birol Unel,
Anna Bederke, Pheline Roggan, Dorka Gryllus

sceneggiatura Fatih Akin, Adam Bousdoukos
fotografia Rainer Klausmann
montaggio Andrew Bird
scenografia Tamo Kunz costumi Katrin Aschendorf
musica klaus Maek, Pia Hoffmann
produzione Corazón International
distribuzione Bim
durata 1h39m

Germania 2009                                                              
    
 

La trama: Per Zinos, giovane proprietario di un ristorante ad Amburgo, il Soul Kitchen, non è esattamente un buon periodo; i clienti non apprezzano la cucina del nuovo cuoco, la fidanzata Nadine si è trasferita a Shanghai e lui ha problemi alla schiena. Sfiduciato e depresso decide si affidare la gestione del ristorante al fratello ex-detenuto Illias, e di volare in Cina per ritrovare Nadine, ma niente andrà secondo i suoi piani e la vita del giovane sarà stravolta dall'imprevisto.


Il regista: Giovane regista tedesco, Fatih Akin nasce ad Amburgo nel 1973 da una famiglia di origini turche. Dopo aver studiato arte e comunicazione visiva vince vari premi internazionali con i suoi corti. Il suo primo lungometraggio è Short sharp shock ('98) che vince il Pardo di bronzo a Locarno. Seguono In July ('00) e Solino ('02) film su una famiglia di immigrati italiani. Dopo La sposa turca, Orso d'Oro a Berlino 2004, che gli dà fama internazionale, presenta a Cannes 2005 Crossing the bridge, interessante documentario sulla realizzazione della colonna sonora del film precedente. Segue Ai confini del Paradiso ('07), che sempre a Cannes vince il premio per la miglior sceneggiatura.


Il film: Ci sono idee alla base di un film che tornano anche a distanza di anni nella mente di un regista, e che rimangono anche dopo il successo planetario che ne ha ormai fatto dei maestri da imitare. E' il caso di Soul kitchen, ultima, travolgente spassosissima commedia di Fatih Akin, autore di opere ormai di culto nel panorama cinematografico internazionale come La sposa turca, Orso d'oro a Berlino o Ai confini del Paradiso, miglior sceneggiatura a Cannes.
Che Akin fosse avvezzo a grossi premi cinematografici lo si era capito da tempo, e il Premio speciale della giuria assegnato a Soul kitchen  a Venezia lo ha confermato.
L'esigenza che Akin ha voluto trasportare all'interno del film è stata quella di raccontare un luogo di ritrovo, di unione, di comunione, di raccontare la propria casa, e questa esigenza era viva fin da prima che La sposa turca  spopolasse a Berlino e lo rendesse celebre. Questo luogo, non dei sogni ma reale, era la Taverna greca dell'amico d'infanzia Adam Bousdoukos, nel quartiere Ottensen di Amburgo, punto di ritrovo per il gruppo di amici, dove baldoria, ubriacature e momenti di discussione trovavano sfogo fra i mille umori di piatti tradizionali greci. Dopo il successo de La sposa turca, il progetto del Soul kitchen  è stato messo da parte ma mai dimenticato. Dice il regista che questo film non è il terzo capitolo della sua ipotetica trilogia su "amore, morte e diavolo", ma una boccata d'aria necessaria prima di affrontare appunto il diavolo nel terzo e conclusivo film della trilogia, dopo l'amore della sposa  e la morte dei confini.
Abbandonata la pacatezza de Ai confini del Paradiso, con Soul kitchen  il regista torna al ritmo frenetico de La sposa turca, portato avanti e sostenuto dalla forza della musica, anche se lo stile dei due film rimane molto diverso. Mentre il primo era completamente girato con macchina a spalla, le immagini sporche da opera Dogma, molto vicine ai volti dei personaggi, con luci naturali e nessun artefatto scenico, in Soul Kitchen  le cose cambiano notevolmente e lo stile del film prende un'impronta del tutto nuova per quello che è il cinema del regista. C'è molto più movimento, molto più ritmo, molto più montaggio, la macchina da presa si muove in maniera molto più matura e ricercata, abbracciando l'inquadratura in eleganti movimenti di dolly, diventando quasi una danza che accompagna i molti personaggi della storia nel loro percorso interiore. Accettando la metafora della danza, si può dire che mentre il primo film è un passo a due, il secondo è un grande ballo di gala.
Nel personaggio principale di Zinos si riflettono molti elementi autobiografici della vita del regista e dello stesso attore che lo interpreta, Adam Bousdoukos, non solo amico fraterno del regista ma anche attore in numerosi suoi film ed in questo caso anche co-sceneggiatore. Nella vita reale Bousdoukos è stato per dieci anni un ristoratore (gestiva la Taverna greca sopra citata), e l'alchimia molto forte che si percepisce fra lui e il suo locale sullo schermo, tradisce un'ispirazione fortemente autobiografica. Il legame fra i due è come quello tra padre e figlio, poiché Zinos sente il ristorante come una sua creatura da cui ha difficoltà a staccarsi. L'amore che il protagonista prova per il suo ristorante riflette quello del regista per la sua città natale, una Amburgo mai ripresa meglio al cinema. Quella che vediamo sullo schermo non è la Amburgo dei turisti da cartolina, ma piuttosto quella che Akin conosce bene, vive, ama, che sente come la propria casa, come una parte inscindibile di sé con cui interagire. In questo il film è anche un omaggio del regista alla propria città, di cui si compiace mostrandone gli aspetti più nascosti, meno conosciuti, presentando ambienti inconsueti e poco noti, quartieri più periferici (il film è stato girato nel quartiere di Wilhelmsburg che rappresenta la trasformazione della città), che presto saranno spazzati via da un processo di modernizzazione delle aree previsto dal comune.
Al contrario dei suoi film precedenti, dove tutti i personaggi erano perennemente in cerca di un'identità, di radici, di una casa, in questo film il protagonista principale, pur essendo figlio di immigrati, sa con certezza quale sia il suo posto, e lo ama, lo difende, non riuscendo ad abbandonarlo. Paradossalmente è proprio un personaggio tedesco di razza (Nadine) a sentire invece il bisogno di cercare un nuovo inizio, una nuova vita da qualche altra parte, lontano. E' come se il cerchio si fosse chiuso e tutta la disperazione di Sibel, di Cahit, di Nejat, di Alì, di Ayten, di Yater, alla continua ricerca di qualcosa, abbia finalmente trovato la pace.
Parlando di un ristorante, un altro elemento fondamentale del film è naturalmente il cibo, che diventa metafora per la rieducazione dal cattivo gusto delle masse. Così come le masse popolari sono attratte dal cattivo gusto in tutto, la cattiva musica, la televisione trash, la letteratura da strapazzo, il cinema pop-corn, così sono attratte dal cattivo cibo. Il regista, nel personaggio del cuoco, con il suo modo di cucinare, di preparare le pietanze, di danzare con gli ingredienti, fornisce cibo per l'anima, spazza via il vecchio per cercare una nuova clientela, un nuovo pubblico, più educato e consapevole.
Cibo per l'anima è anche naturalmente un riferimento lampante all'anima soul del film, alla musica, che conferma la natura di grande intenditore musicale del regista. La splendida colonna sonora che da sola costituisce un personaggio a sé, è composta da brani soul degli anni sessanta e settanta, con pezzi che spaziano da Kool & the Gang, a Quincy Jones, a Mongo a Santamaria, a Sam Cooke, a Ruth Brown. Tutto mixato con l'hip-pop elettronico di Amburgo, musica rock dal vivo, rebetiko greco e "La Paloma". Un'esperienza musicale irriperibile.
Il cast è un ulteriore punto di forza di questo film potente, divertente e dal ritmo trascinante. Molti degli attori del film sono degli abitué del cinema di Fatik Akin, oltre che amici nella vita. Da Adam Bousdoukos e Moritz Bleibtreu, entrambi nei primi film del regista, a Birol Unel (La sposa turca), a Anna Bederke (regista al primo ruolo d'attrice), Pheline Roggan e Dorka Gryllus (Irina Palm).
                                                                                                                       V.M.


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