BUONGIORNO,
NOTTE
di Marco Bellocchio
con Maya Sansa,
Roberto Herlitzka, Luigi Lo Cascio,
Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Paolo Briguglia
sceneggiatura Marco Bellocchio
fotografia Pasquale Mari
montaggio Francesca Calvelli
scenografia Marco Dentici costumi
Sergio Ballo
musica Riccardo Giagni
produzione Marco Bellocchio, Sergio Pelone
distribuzione 01 Distribution
durata 1h45m
Italia, 2003
La trama: il rapimento Moro vissuto attraverso le esperienze dei suoi carcerieri. Al centro del racconto troviamo Chiara, giovane combattente delle Brigate Rosse, che si trova divisa fra il suo ruolo nella vita comune di tutti i giorni, in cui ha un lavoro, dei colleghi, un fidanzato che sembra capire il suo segreto, e quello di brigatista nella clandestinità. Con il passare delle settimane Chiara si sentirà sempre più divisa fra queste due opposte identità, mettendo in discussione i suoi ideali rivoluzionari ed il rapporto con i suoi compagni.
Il regista: fra i registi italiani più impegnati, personali e interessanti della sua generazione, Bellocchio (Piacenza, 1939) firma la sua prima regia nel '65 con un film che rimane nella storia del cinema italiano, I pugni in tasca. Fra le sue venti regie ricordiamo La Cina è vicina ('67), Nel nome del padre ('71), Marcia trionfale ('75), Salto nel vuoto ('80), Enrico IV ('84), Il diavolo in corpo ('86), La visione del sabba ('88), La condanna ('91), Il sogno della farfalla ('94), Il principe di Homburg ('97), La balia ('99) sempre con la Sansa, L'ora di religione ('02).
Il film:
Liberamente tratto dalla precisa e dettagliata cronaca del sequestro di Aldo
Moro, Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, libro di cui Bellocchio si
appropria, trasformandolo in una personale rivisitazione non tanto politica e
storica quanto onirica ed emozionale, Buongiorno, notte deve il suo
titolo ad un verso di Emily Dickinson e racconta i quasi due mesi del rapimento
Moro, vissuti e mostrati sullo schermo attraverso i sentimenti, le emozioni e le
paure dei suoi rapitori.
Al centro del racconto Chiara, l'unica donna del gruppo che detiene il
Presidente Moro, a cui una brava Maya Sansa dona la giusta insicurezza
manifestata verso quei principi dell'ideologia estremista di cui è entrata a
far parte; attraverso il suo personaggio il regista ci accompagna in un viaggio
interiore in cui interrogativi, dubbi e incertezze fanno da contraltare alla
ineluttabilità delle azioni volute dai precisi dettami politici delle BR. E
così da un'iniziale descrizione molto fedele al libro dei personaggi, del loro
lavoro, delle stanze dell'appartamento, perfino della gabbietta con il canarino,
che la Braghetti identifica con lo stesso Moro, il regista passa ad una
personalissima divagazione onirica e ideale, in cui le remore e i dubbi di Chiara
si trasformano in un sogno liberatorio, che si oppone e si scontra con quello che
sarà invece il vero epilogo del sequestro nella realtà.
Presentato con successo alla Mostra del Cinema di Venezia 2003, e da quasi
l'unanimità della critica voluto come Leone, al film è stato assegnato il
premio per la Sceneggiatura, scatenando da parte della Rai (distributrice del
film) e dello stesso regista Bellocchio, dichiarazioni polemiche in estremo
contrasto con il responso della giuria, che non hanno di certo giovato al film.
Molte infatti le mail e le lettere di dissenso e di protesta inviate a giornali
e riviste del settore da parte di un pubblico che in laguna aveva amato il film, ma che si
è sentito denigrato dall'ennesima dimostrazione di provincialismo e mancanza di
umiltà, manifestata dalla Rai nei confronti di una giuria internazionale, dentro
la quale si sono lasciati trascinare lo stesso Bellocchio e tutti gli attori del
film, con dichiarazioni francamente al limite del ridicolo, che per giorni hanno
riempito le pagine dei giornali.
Lo scontento del pubblico è stato tale che dopo qualche settimana
l'amministratore delegato di Rai Cinema, Giancarlo Leone è stato costretto a
tornare sulle sue dichiarazioni, in cui aveva testualmente affermato: "Mai
più i nostri film al Lido".
A tal proposito riportiamo un'intervista a Nanni Moretti pubblicata su Ciak
dell'ottobre 2003:
"Ho visto in tv qualche trasmissione pietosa con ospiti che dicevano
insensatezze sul cinema, sui giornali poco spazio per i film e troppo per le
cavolate. E la peggior premiazione da molti anni a questa parte. E poi i premi
sono troppi, eliminerei il secondo concorso".
Secco resoconto veneziano di Nanni Moretti, habitué delle giurie
internazionali: presidente alla Mostra del 2001 (aveva già partecipato alla
giuria nell'86), e giurato a Cannes in occasione del cinquantenario ('97)
nonché al Festival di Locarno nel '90. Palma d'Oro per La
stanza del figlio, Moretti i festival li conosce bene da cinefilo
("La prima volta sono andato a Venezia da spettatore nel '73, alle Giornate
del Cinema") e da regista e produttore. Quando, nell'89, Palombella
rossa venne rifiutato dalla selezione ufficiale lui scelse di accettare
l'invito dell'indipendente Settimana della Critica e fu un trionfo. Oggi è
impegnato nella produzione di un'opera prima e nella sceneggiatura, assieme a
Heidrun Schleef, del suo prossimo film, ma lo strascico polemico sul non-premio
a Bellocchio e la dichiarazione di Giancarlo Leone ("dal prossimo anno Rai
Cinema non manderà più i suoi titoli al Lido") l'ha lasciato molto
stupito.
"Sono particolarmente imbarazzato perché ho sempre lavorato bene con Rai
Cinema avendo per di più scelto per principio di non lavorare con Mediaset o
Medusa. Ma trovo la dichiarazione di Leone ridicola e vergognosa. Non so con
quale giravolta farà l'inevitabile marcia indietro, ma purtroppo ha appannato
l'immagine non solo della Mostra appena finita, ma anche delle prossime
edizioni. Se in futuro ci dovesse essere un premio importante a un film italiano
ci si chiederà infatti se sarà stato assegnato perché lo meritava veramente o
perchè gli apparati statali e parastatali avranno definitivamente
"italianizzato" la Biennale con quel che ne consegue. Da regista,
produttore e spettatore resto comunque per la competizione, in concorsi
garantiti da giurie qualificate e indipendenti".
Esistono?
"La mia esperienza di giurato mi ha insegnato che non esiste "la"
giuria, esistono delle maggioranze che, di volta in volta, si formano attorno a
questo o a quel film. Alla fine nessun giurato si identifica completamente nella
totalità dei premi. L'esperienza di Cannes è stata per me gratificante, sia
perché stordendo di chiacchiere alcuni colleghi, sono riuscito a convincerli a
premiare Kiarostami, sia per l'incontro con gli altri giurati, Mira Sorvino,
Mike Leigh, Isabelle Adjani, Tim Burton, Gong Li. Per quanto riguarda Venezia
fui un presidente un po' severo. Ho naturalmente obbligato tutti a vedere ogni
film fino in fondo e, in qualche caso, è stata davvero dura; ho chiesto di non
applaudire alla fine delle proiezioni e di fare una riunione ogni due giorni per
poter discutere uno per uno tutti i film. Ho perfino imposto una regola a cui
spero i giurati si siano sottratti, quella di non partecipare alle feste dei
film in concorso. La produttrice danese in giuria ha chiesto: "Possiamo
andare solo a ballare, senza parlare?". Alla fine ha vinto Monsoon
Wedding. Fu definita una soluzione di compromesso, e invece era la
scelta della maggioranza, a cui io non appartenevo perché votai il film
iraniano Il voto è segreto".