IL DISCORSO DEL RE
regia Tom Hooper
con Colin Firth,
Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter,
Guy Pearce, Derek Jacobi, Timothy Spall
sceneggiatura
David Seidler
fotografia Danny
Cohen
montaggio Tariq
Amwar
scenografia Eve
Stewart
costumi Jenny
Beavan
musica Alexandre
Desplat
produzione
Iain Canning, Emile Sherman, Gareth Unwin
distribuzione
Eagle
durata 1h58m
G.B. 2010
La trama:
Dopo la morte del padre Giorgio V e l'abdicazione del fratello Edoardo VIII, Alberto Windsor sale al trono d'Inghilterra con il nome di Giorgio VI. La
balbuzie che lo affligge fin da bambino però, è un problema che diventerà ancora
più grande di fronte al suo nuovo ruolo di monarca. Elisabetta sua consorte,
lo mette in contatto con un buffo individuo, Lionel Logue, sicuro di poterlo
curare con i suoi metodi anticonvenzionali e per l'epoca ritenuti rivoluzionari.
Il regista: Londinese,
classe 1972, Tom Hooper è un regista prevalentemente televisivo con all'attivo
serie tv come Elizabeth I, Prime suspect - The last witness,
entrambe con Helen Mirren, Love in a cold climate, Daniel Deronda,
Cold feet e John Adams. Il suo primo film per il cinema è
Red dust ('04), a cui seguono Longford ('06) e Il maledetto United
('09).
Il film:
Qualche detrattore ha accusato Il discorso del re di essere un film tv,
commettendo un grave errore di valutazione. Il film dell’anglosassone Tom Hooper
è un’opera degnissima, accolta da plauso unanime, assolutamente adeguata per il
grande schermo, onesta e ben costruita che parla di buoni sentimenti, di rivalsa
personale e di una grande amicizia, tutti elementi giusti per fare di un film,
un crowdpleaser come dicono gli americani, cioè un film che piace e
mette d’accordo tutti.
Pur raccontando di personaggi realmente esistiti, Il discorso del re è
un’opera per la gran parte di finzione, nata dall’immaginazione di David Seidler,
che prima l’ha messa su un palcoscenico teatrale, poi ne ha tratto una
sceneggiatura per il cinema, giunta casualmente fra le mani del regista Tom
Hooper.
Il film si basa comunque su avvenimenti storici che hanno interessato la storia
della famiglia reale inglese, al centro dei quali si colloca la morte nel 1936
di re Giorgio V. E’ reale che dopo la sua morte il primogenito Edoardo VIII salì
al trono come suo erede, come è reale che solo dopo pochi mesi di reggenza,
abdicò in nome del fratello minore Giorgio VI, in quanto colpevole di aver
sposato un’americana scandalosamente già divorziata, che non sarebbe mai potuta
diventare regina. E’ vero anche che Giorgio VI, padre di Elisabetta II, era
afflitto fin dall’infanzia da una grave forma di balbuzie che aveva minato la
sua carriera di possibile futuro monarca. E’ ancora vero che, sotto consiglio di
sua moglie, la regina Elisabetta I, si affidò all’ennesimo tentativo di cura di
un curioso, proletario ex attore teatrale australiano, Lionel Logue, che seppur
non riuscì a fargli sconfiggere il fastidioso disturbo, insegnò al sovrano come
gestirlo per tutti gli anni del suo lungo regno.
A questo punto però la storia con la S maiuscola si interrompe e inizia la
storia immaginaria di Seidler della relazione profonda e duratura che ha legato
i due uomini fino alla loro morte. La storia soprattutto di un’amicizia, vera,
profonda, tenace fra due uomini immensamente lontani fra loro per cultura,
educazione, posizione sociale e temperamento, la storia della rivalsa di un uomo
verso una sua debolezza che diventa universale, umana, distaccata da qualunque
connotazione aristocratica.
Tutto questo accade sullo sfondo di un periodo storico ben preciso e
fondamentale per l’Europa di quegli anni ed il mondo intero, la seconda guerra
mondiale. Ma la guerra rimane veramente sullo sfondo dei fatti narrati nella
pellicola, non un film storico in senso lato, ma piuttosto un racconto intimo,
personale, discreto che parla di buoni sentimenti e di una vittoria personale
più spirituale che materiale, della rivalsa del tutto privata di un uomo verso
la vita.
La ricostruzione d’epoca del film rimane comunque impeccabile, come tradizione
in film di questo tipo. Le scenografie austere e maestose degli ambienti, la
raffinatezza e la preziosità dei costumi, ricercatissimi fin nei più piccoli
dettagli, la fotografia spesso fosca e nebulosa che soprattutto nelle sequenze
all’aperto ricrea perfettamente la sensazione del caliginoso inverso londinese,
costituiscono una cornice di tutto rispetto ad una storia che fin all’ultima
sequenza rimane intima e personale.
Il discorso del re non sarebbe stato lo stesso film senza due attori
purosangue in scena praticamente in ogni inquadratura, l’essenzialmente british
Colin Firth (A
single man), che per questo ruolo ha finalmente vinto il meritato Oscar
come miglior attore, e l’australiano Geoffrey Rush, popolare caratterista famoso
per aver recitato in decine di pellicole celebri come Shakespeare in love,
Elizabeth, Shine. Da non dimenticare una mai sufficientemente
apprezzata Helena Bonham Carter nel ruolo della regina Elisabetta.
Fin dal suo debutto al Festival di Toronto, il film è stato un enorme successo
di pubblico e critica che lo ha portato alla vittoria finale di quattro premi
Oscar su dodici candidature, fra cui miglior film e regia, avendo la meglio al
vero ultimo momento contro il suo maggior rivale della stagione
The social network, che rimane
comunque il film più premiato della storia.
V.M.
versione per la stampa