IL CIGNO NERO

regia Darren Aronovsky
con Natalie Portman, Mila Kunis, Vincent Cassel
Barbara Hershey, Winona Ryder, Benjamin Millepied

sceneggiatura Mark Heyman, Andreas Heinz, John J. McLaughlin
fotografia Matthew Libatique montaggio Andrew Weisblum
scenografia Théreése DePrez costumi Amy Wescott
musica Clint Mansell
produzione Scott Franklin, Mike Medavoy,
Arnold Messer, Brian Oliver
distribuzione Fox
durata 1h48m

Usa 2010                                                              
    
 

La trama: Nina è una giovane ballerina newyorkese. Vive con la madre Erika, con un solo scopo nella vita: diventare una grande star del balletto, e nella sua esistenza non c'è spazio per niente altro. Quando il direttore artistico della sua compagnia di danza, decide di rimpiazzare la prima ballerina nella rappresentazione de Il lago dei cigni, Nina è fra le favorite insieme a Lily, ragazza estroversa e disinibita, con cui allaccia un insano rapporto a metà fra amicizia e sfrenata rivalità.


Il regista: Considerato fra i registi più personali ed innovativi della sua generazione, Darren Aronofsky nasce a New York nel 1969. Dopo studi in cinematografia e animazione presso l'Università di Harvard sbalordisce la critica mondiale con il suo primo film Pi - Il teorema del delirio, con cui vince il premio per la miglior regia al Sundance. Seguono Requiem for a dream ('00), con cui è a Cannes, The Fountain - L'albero della vita ('06), in concorso a Venezia e The wrestler, con cui nel 2008 vince il Leone d'oro sempre a Venezia.


Il film: La luce nera dilaga sullo schermo, ne annienta il bianco e procede verso i colori (dal rosa al verde) dei personaggi. Segue la musica, forse. O meglio, la asseconda in parte, per creare contrasti ancora più forti. Fino a volgersi verso di noi, travolgendo gli spettatori dell’anteprima veneziana con la certezza che un film inaugurale con questa potenza e bellezza non lo si vedeva alla Mostra da decenni.  Il festival ha rotto la sua scorza di compostezza formale sotto lo schianto de Il cigno nero, il film con cui Darren Aronofsky è tornato al Lido nel 2010 a due anni di distanza dal Leone d’oro strappato a sorpresa con The Wrestler. Un vero e proprio film gemello in cui il mondo della danza è scavato con un misto di stile documentario e stilizzazione artistica. Ma c’è molto di più.
Nostalgico come un grammofono, dolce come la luce polverosa di tenebra e nero quanto i passi psicanalitici che muove verso la notte, Black Swan  racconta la storia di Nina, che aspira a diventare prima ballerina della nuova versione de “Il lago dei cigni”, ma deve prima riuscire a trovare dentro di sé quell’istinto incontrollato che le permetterebbe d’interpretare sia il cigno bianco che quello nero.
La macchina da presa di Aronofsky morde il palco e gli interni con una realtà che spezza il fiato. Il suo sguardo è già una rottura con la finzione, una riflessione più completa su tutto ciò che è spettacolo, vita, messinscena, essere umano, fisico e psiche. Il regista ha un impeto che stringe le cose con uguale intensità, sia che si tratti di violenza o eleganza, due fattori intrecciati da Il cigno nero fino alle soglie dell’horror. E quanto è dolce questa crudezza che si mette, nuda, davanti ad uno specchio per scoprire un doppio di mortale raffinatezza.
La Portman insegue un lato oscuro che le corrode la purezza del corpo come una piaga infetta. L’accanimento gestuale della danza, il percorso perturbante dentro le proprie insicurezze e la furia dei toni neri che invadono l’inquadratura digitale sono porzioni terrorizzanti di un tutto che recide la sicurezza dello spettatore con sequenze estreme di danza e seduzione.
Mettendo di frequente la sua protagonista davanti ad uno specchio, Aronofsky accoglie nella sua ispirazione motivi demoniaci Lynchani (i corridoi, il doppio, il mutamento del corpo). Mentre tutto, dal rapporto con la madre alle ferite autoinferte, rimanda ad una psicanalisi ferocemente connessa all’ambiente della danza.
"Quella forza malefica ti risucchia e non puoi sfuggire al suo controllo", le dice l’allenatrice mentre la Portman tenta con insistenza il passaggio del cigno nero. Il cigno nero, infatti, graffia la pelle, si agita sotto le unghie dello spettatore e risale fino al risveglio traumatico di una coscienza sopita. Agire d’istinto per una forza oscura, questo muta il colore delle ali del cigno. E l’inconscio è una componente così centrale da imporsi anche nelle sequenze di ballo: mai statiche in un’inquadratura frontale, ma sempre più vorticose (viscerali) delle stesse coreografie sul palcoscenico. È a partire da qui che il film mette paura: con il suo attaccamento ai corpi e quella capacità di percorrere con la macchina a mano l’ansia di orrore rivolto verso se stessi.
Il cigno bianco spalanca ali di tenebra. Il suo volo sconvolge tutto. La Mostra di Venezia, gli Oscar e ora anche una platea impotente di fronte al suo splendore rabbioso.
                                                                                                                       M.Z.


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