IL PROFETA
regia Jacques
Audiard
con Tahar Rahim,
Niels Arestrup, Adel Bencherif,
Reda Kateb,
Hichem
Yacoubi, Jean-Philippe Ricci
sceneggiatura
Thomas Bidegai, Jacques Audiard
fotografia
Stéphane Fontaine
montaggio
Juliette Welfling
scenografia
Michek Barhélémy
costumi
Virginie Montel
musica Alexandre
Desplat
produzione
Bourrachat, Cassinelli, Cherqui
distribuzione
Bim
durata 2h29m
Francia 2009
La trama:
Malik El Djebena è appena diciannovenne quando viene condannato a sei anni di
carcere. E' analfabeta, fragile e impaurito dal duro mondo della galera. In poco
tempo diviene lo sguattero di un boss della mala corsa che dentro le mura del
carcere è una sorta di padrino, a cui tutti portano rispetto. Malik è costretto
a sottomettersi ad ogni sorta di servizio richiesto dal boss che a poco a poco
comincia ad avere sempre più fiducia nel giovane a cui si affeziona.
Il regista: Nato
a Parigi nel 1952 da una famiglia di artisti (il padre è il celebre cineasta
Michel), Jacques Audiard inizia ancora studente, come aiuto montatore per
Polanski nel 1976, per il film L'inquilino del terzo piano. Passa poi al
teatro e nel corso degli anni ottanta al cinema, come sceneggiatore. Dopo vari corti, nel
'94 dirige il suo primo film Guarda gli uomini cadere, seguito da Un
héros très discret ('96), che vince il premio per la sceneggiatura a Cannes.
Del 2001 è il suo terzo film Sulle mie labbra, con Vincent Cassel e
Emmanuelle Devos, a cui segue
Tutti i battiti
del mio cuore ('05).
Il film:
Dopo l'attenzione guadagnatasi con i due precedenti film Sulle mie labbra
e
Tutti i battiti del mio cuore, Jacques Audiard colpisce di nuovo al
cuore con il suo ultimo, folgorante lavoro Il profeta, dramma carcerario
che racconta della crescita sia interiore che sociale di un giovane detenuto,
dentro e fuori dal penitenziario.
La storia è quella di Mailk, giovane magrebino diciannovenne che finisce in
carcere condannato a sei anni. Gracile, debole, impaurito, ma seppur analfabeta
dotato di rara intelligenza e scaltrezza, capisce subito che rimarrà schiacciato
dalla dura realtà del carcere e così sceglie di avvicinarsi al boss corso César
Luciani, considerato come una sorta di signore del penitenziario, temuto e
rispettato. Nel corso degli anni che Malik vivrà all'interno delle mura
carcerarie assisteremo alla sua evoluzione, alla trasformazione da ragazzo
fragile e pauroso in boss sicuro di sé, onorato e riverito una volta fuori di
galera.
Il film è un affascinante affresco del mondo dietro le sbarre che non si sottrae
agli stereotipi del suo genere, ma riesce ad evolversi nell'epopea di un grande
gangster-movie che non teme il paragone con film considerati ormai capolavori
del cinema criminale come Il padrino o Scarface. Asciutto ma
allo stesso tempo rarefatto, ha i tempi perfetti di uno scarno ritratto di una
comunità rinchiusa in cattività composta da gruppi etnici ben definiti e
distinti gli uni dagli altri. Vediamo infatti, soprattutto nelle sequenze all'aperto nel
cortile carcerario, piccoli ma compatti nugoli di detenuti appartenenti a
etnie diverse e mai mischiate fra loro; da una parte i francesi, in netta
minoranza, dall'altra gli arabi, da un'altra ancora i corsi, in una sorta di
parata militare in cui ogni gruppo difende il proprio territorio e le proprie
competenze all'interno del microcosmo carcerario, sempre sulla difensiva e
pronti all'attacco verso ipotetici pericoli avversari. Il film indaga e scruta
attraverso le dinamiche che si instaurano fra i vari gruppi, spiegandone i
meccanismi e i complessi movimenti alla base di gerarchie e comportamenti
statici e immodificabili, canonizzati da leggi non scritte, spesso non spiegati
a parole ma raccontati attraverso sequenze mute ma di eloquente chiarezza, fatte
di sguardi, umori, segnali, di brevi ma efficaci gesti.
In questo piccolo ma suggestivo universo di vincitori e vinti, di signori e
sottomessi, di principi e plebei, si fa strada a poco a poco un personaggio
complesso e controverso, quello del giovane Malik, verso il cui fascino sottile
non si può rimanere indifferenti, capace di trasformarsi a poco a poco da
agnello sacrificale in un Dio magniloquente. La sua ascesa sottile, la sua
evoluzione a signore del crimine, la sua contro-redenzione gestita con abilità e
intelligenza, è raccontata come una metamorfosi naturale che il regista riesce a
rappresentare magnificamente, bilanciando con minuzioso equilibrio situazioni di
intima crisi spirituale del personaggio, ad altre in cui è protagonista di atti
efferati e di estrema brutalità, di cui però ha bisogno per ottenere e poi
mantenere uno status da cui non gli è concesso prescindere, pena la propria
sopravvivenza.
Elegante, estetico, brutale e visionario, Il profeta è sicuramente
uno dei migliori prodotti della cinematografia francese degli ultimi anni,
consacrato miglior film dell'anno in patria con nove premi Cèsar, che si
aggiungono al Gran Prix vinto a Cannes, al Bafta come miglior film straniero ed
alle candidature ai Golden Globes e agli Oscar nella stessa categoria.
Impeccabile il cast su cui svetta la performance di
Tahar Rahim, giovane star del nuovo
cinema francese, qui al suo primo vero ruolo importante, riconosciuto come
miglior attore agli European film Award, e il torbido
Niels Arestrup nel ruolo del boss
corso Luciani, già apparso nel precedente film di Audiard.
V.M.
versione per la stampa