CRAZY HEART
regia Scott
Cooper
con Jeff Bridges,
Maggie Gyllenhaal, Colin Farrell,
Robert Duvall, Paul Herman, James Keane
sceneggiatura
Scott Cooper
fotografia Barry
Markovitz
montaggio
John Axelrad
scenografia
Waldemar Kalinowsli
costumi
Doug Hall
musica Stephen
Bruton, T-Bone Burnett
produzione
Butcher's Run Films, Informant Media
distribuzione
20th Century Fox
durata 1h52m
Usa 2009
La trama:
Bad Blake è un celebre cantante country ormai alla deriva. Alcolizzato, con
diversi matrimoni alle spalle, alcun legame con nessuno, si trascina da un motel
all'altro seguendo le
piazze sempre più di periferia che il suo agente riesce ancora a procurargli,
e una bottiglia di
whisky come unica compagnia. L'incontro con una giovane donna e il tenero
sentimento che nasce tra i due, lo convince a ripensare a tutta la sua vita ed a
provare una difficile redenzione.
Il regista: Scott
Cooper nasce nel 1971 in Virginia, Stati Uniti e inizia la sua carriera nel
mondo dello spettacolo come attore. Dopo studi presso il Lee Strasberg Institute
di New York appare in numerosi film fin dal 1998, quattro dei quali con il suo
mentore Robert Duvall. Crazy heart è il suo primo lungometraggio
che scrive e dirige, ottenendo numerosi riconoscimenti.
Il film:
Il vecchio Lebowski si mostra nudo, anima e corpo, nel film della sua carriera.
Ci sono film che valgono prima di tutto per l'interpretazione di un attore,
grazie alla quale saranno ricordati per sempre, e Crazy heart è
senza dubbio uno
di questi.
Jeff Bridges, apprezzatissimo attore che nell'arco dei tanti anni
dedicati al cinema ha portato sullo schermo personaggi indimenticabili ed ormai
entrati nell'immaginario filmico collettivo, riesce a dipingere il ritratto di
un loser romantico, dal disperato bisogno di oblio, in un'interpretazione
drammatica e sofferta che non manca nel toccare i sentimenti del pubblico.
La storia è quella classica della ricerca del riscatto sociale, della rivincita
su una vita di vizi e di eccessi sprecata in nome del proprio io, dei tanti
affetti sacrificati e abbandonati lungo la strada di tanti personaggi che sul
grande schermo hanno cercato di risalire la china, con o senza successo. Il
pavimento di quel grande e lussuoso castello fatato chiamato Cinema è lastricato
da migliaia di interpretazioni del genere, spesso riconosciute e onorate dal
premio più esclusivo della settima arte, l'Oscar. Come il Don Birnam di Ray
Milland in Giorni perduti (1946), o il Ben Sanderson di Nicholas Cage in
Via da Las Vegas (1995), o ancora più recentemente il Randy "The Ram"
Robinson interpretato da Mickey Rourke in
The wrestler
nel 2008, anche il personaggio di Bad Blake interpretato da Jeff Bridges in Crazy heart si inerpica
sulla difficile strada di una tortuosa, intricata, dolorosa ricerca di
redenzione, cercando di cancellare gli errori di una vita attraverso
un'espiazione più spirituale che terrena, in cerca di un po' di felicità forse
non meritata fino in fondo.
Bad Blake è uno di quei personaggi che non è possibile non amare ed odiare nello
stesso tempo. Ha distrutto la sua vita e tutti i suoi rapporti, anche quelli più
stretti e cari, in nome di un individualismo esasperato, costringendosi in
un'esistenza rappresentata al limite della sopportazione (anche per lo
spettatore). Bridges è ammirevole nel mostrare senza remore sullo schermo i lati
più abietti e riprovevoli del proprio personaggio, non nascondendosi mai di
fronte la macchina da presa, ma offrendosi lungamente e con totale spontaneità nel
raccontare i momenti più deprecabili della vita di un uomo. L'attore è superbo
nell'equilibrare il giusto livello di attenzione in uno sguardo
offuscato dai fumi dell'alcool, nel bilanciare lo strascichio delle parole mal
dette nei momenti cruciali dell'ubriacatura, e non si tira indietro nel
mostrarsi sporco, nudo e reietto per la maggior parte della durata della
pellicola.
Ruoli come questi capitano una volta nella vita e un bravo attore deve essere
capace di trarne il maggior profitto, per sé stesso e per il film in cui lavora,
e Bridges lo ha fatto egregiamente, elevando un film di medio valore ad un
livello superiore, che non avrebbe sicuramente raggiunto con un attore meno
ispirato.
Interpretare il ruolo di Bad Blake è stato per Jeff Bridges una sorta di
rivincita per tutti gli indimenticabili personaggi portati sullo schermo e mai
riconosciuti con l'Oscar, primo su tutti il Jeffrey "Drugo" Lebowski che dà il
titolo all'ormai cult del 1998 dei fratelli Coen. E' infatti con il personaggio
del cantante country sulla via del tramonto di Crazy heart che
finalmente Bridges ha meritatamente conquistato l'Oscar tanto atteso come
miglior attore, dopo aver collezionato per lo stesso ruolo una lunga serie di
altri premi prestigiosi, fra cui il Golden Globe.
Girato in soli ventiquattro giorni da Scott Cooper, un giovane attore,
esordiente alla regia, prodotto dal veterano Robert Duvall che appare in un
piccolo ma fondamentale ruolo (e che curiosamente vinse l'Oscar nel 1984 per il
ruolo simile di un cantante country alcolizzato in Un tenero ringraziamento),
Crazy heart vede oltre a Bridges e Duvall, una splendida Maggie Gyllenhaal,
anch'essa nominata agli Oscar come non protagonista, e Colin Farrell in un
inedito ruolo da star del palcoscenico.
Il film ha vinto un secondo Oscar per la
canzone The weary kind di T-Bone Burnett, già coordinatore musicale ne
Il grande Lebowski, e che curiosamente Bridges ha voluto nel film
includendolo come clausola al suo contratto.
Sia Bridges che Farrell interpretano personalmente i brani musicali del film. La
fondamentale sequenza del brano cantato dai due attori insieme on stage, è stata
girata durante un vero concerto del cantante Toby Keith. Nei dieci minuti di
pausa fra il primo e il secondo tempo del concerto, Bridges e Farrel sono
velocemente comparsi sul palcoscenico di fronte a 12.000 persone, iniziando
l'insolito duetto. Il pubblico ignaro della situazione, ha subito manifestato
apprezzamento per l'inaspettato fuori programma e, non appena riconosciute le
due star del cinema, si è lanciato in un travolgente incitamento iniziando a
scattare migliaia di foto con i telefoni cellulari, momento che il regista non
si è lasciato sfuggire e che è diventata una delle sequenze più emozionanti del
film.
V.M.
versione per la
stampa