THE ROAD TO GUANTANAMO

regia Michael Winterbottom, Mat Whitecross
con Riz Ahmed, Farhad Harun, Waqar Siddiqui,
Afran Usman, Mark Holden, Jason Salkey
fotografia Marcel Zyskind
montaggio Michael Winterbottom, Mat Whitecross
scenografia Mark Digby
costumi
Esmaeil Maghsoudi
musica Harry Escott, Molly Nyman
produzione Revolution Films
distribuzione Fandango
durata 1h35m

G.B. 2006
 

La trama: Quattro amici inglesi di famiglia pakistana partono alla volta del loro paese d'origine per le nozze di uno di loro. Una volta in Medio Oriente decidono di passare il confine con l'Afghanistan per portare aiuti alla popolazione minacciata dalle forze USA, ma vengono subito arrestati come membri di Al-Qaeda e imprigionati nella base di Guantanamo a Cuba.


I registi: Michael Winterbottom nasce a Blackburn, Inghilterra, nel 1961 ed è considerato oggi uno dei registi più rappresentativi del suo paese. Dopo la laurea in lingua e letteratura inglese a Oxford, studia cinema a Bristol e Londra. Inizia in TV nell'88 e fino al '94 dirige vari serial televisivi. Molto prolifico, ha diretto una quindicina di lungometraggi, tutti peraltro notevoli. Il folgorante esordio nel cinema è Butterfly Kiss ('94), che fa subito parlare di lui. Confermano il suo talento Go Now ('94), Jude ('96), Benvenuti a Sarajevo ('97), I want you ('98), With or without you ('98), Wonderland ('99), Le bianche tracce della vita ('00), 24 Hour Party People ('02), Cose di questo mondo ('02) Orso d'Oro a Berlino, Codice 46 ('03), 9 songs ('04), A cock and bull story ('06), A mighty heart ('07). 

Mat Whitecross, montatore, operatore, aiuto regista, assistente di produzione, è stato uno stretto collaboratore di Winterbottom a partire dal film 9 songs.


Il film: "Quello che sappiamo è che queste persone sono cattive - George W. Bush". Questo il raggelante sottotitolo che appare sulla locandina del film The Road to Guantanamo, e che nella sua lineare semplicità sintetizza il senso comune di percezione della realtà contemporanea dopo l'11 settembre, verso cui la più grande potenza politica e militare del mondo ha catapultato l'opinione pubblica internazionale.
E' di dominio pubblico il fatto che dopo l'attacco agli Stati Uniti del 2001, si è andata allargando a macchia d'olio una vera e propria caccia alle streghe che ha visto vittime i cittadini appartenenti a tutte le etnie di religione mussulmana, non solo americane, scatenata dal senso di terrore e di insicurezza che sia i media, sia il governo USA e i suoi alleati hanno saputo alimentare a loro favore. Da quel momento in poi molti diritti civili sono stati violati e calpestati nel mondo, e molte persone qualsiasi pur non avendo nessun contatto con associazioni terroristiche o religiose fondamentaliste, sono state perseguitate e incarcerate, subendo ogni sorta di tortura sia fisica che psicologica da parte dei governi americani e inglesi soprattutto, contravvenendo ai principi fondamentali delle leggi universali sul riconoscimento dei diritti civili.
Uno delle centinaia di casi di carcerazione preventiva senza validi motivi susseguitisi nel mondo nell'era post 11 settembre, è raccontato con partecipazione e senso di solidarietà in The road to Guantanamo, film di uno dei registi contemporanei più impegnati civilmente e politicamente a livello internazionale, il britannico Michael Winterbottom. Non a caso nel 2002 vinse con Cose di questo mondo  un Orso d'Oro a Berlino, raccontando il tragico e disumano viaggio della speranza di due ragazzi afghani, fuggiti da un campo profughi di Peshawar e diretti in Europa, e lo scorso anno a Cannes ha portato in concorso A mighty heart, la storia di Mariane Pearl, moglie del giornalista americano ebreo Daniel Pearl, rapito e decapitato dai terroristi in Pakistan nel 2002, ma che già nel 1997 con Benvenuti a Sarajevo  aveva raccontato le responsabilità dell'Occidente durante la guerra fratricida fra le popolazioni della ex-Jugoslavia.
La storia è quella privata di quattro ragazzi inglesi, che per caso o per destino si incrocia con la nostra Storia contemporanea, che un giorno i nostri figli leggeranno sui libri. Il racconto di una serie ininterrotta di catastrofiche coincidenze che hanno messo i quattro giovani nel luogo sbagliato al momento sbagliato e che non solo li ha portati a pochi passi dalla morte, ma a due anni di prigionia, segregazione e torture, privati di qualsiasi contatto con le loro famiglie, tutto senza alcuna reale motivazione se non quella di essere mussulmani.
Il luogo di detenzione è la base di Guantanamo,
centosedici chilometri quadrati che gli Stati Uniti hanno ricavato sull’isola di Cuba dopo la vittoriosa guerra contro la Spagna del 1898, che dal gennaio 2002 ha cominciato ad "ospitare" prigionieri provenienti da Afghanistan, Pakistan, Iraq, tutti accusati di collegamenti con Al-Qaeda, e che tuttora detiene circa seicento uomini, sottoposti a carcere duro, isolamento e torture psicofisiche.
Nelle interviste rilasciate durante la promozione del film, i giovani sopravvissuti a questa esperienza hanno detto di vivere oggi un'esistenza del tutto normale, sono ritornati in Pakistan per il matrimonio del loro amico, si sentono più vicini alla loro religione e non provano odio o risentimento per quello che gli è accaduto ma lo considerano come un fatto che li ha resi più forti nei confronti della vita.

Il film resta fedele al ritmo documentaristico e da reportage di Cose di questo mondo, e alterna momenti di finzione dove gli attori fanno rivivere sullo schermo gli eventi, ad interviste ai veri protagonisti della drammatica vicenda, e insieme ad altri pochi film come 11 settembre 2001, Rendition  o Redacted, gettano uno sguardo diverso da quello che forzatamente siamo portati a pensare attraverso la non sempre trasparente oggettività dei media.
Girato a quattro mani fra Iran e Afghanistan da Winterbottom e dal fedele montatore Mat Whitecross, con una troupe ristretta all'essenziale e non senza difficoltà logistiche, The road to Guantanamo  ha vinto il premio per la miglior regia al Festival di Berlino 2006.
                                                                                                                      V.M.


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