BABEL
regia Alejandro Gonzales Inarritu
con Bratt Pitt, Cate Blanchett, Gael
Garcia Bernal,
Adriana Barraza, Rinko Kikuchi, Koji Yakusho
sceneggiatura
Guillermo Arriaga
fotografia Rodrigo Prieto
montaggio Stephen
Mirrione e Douglas Crise
scenografia Brigitte Broch
musica Gustavo Santaolalla
produzione Graham King, Brad Grey, Brad
Pitt
distribuzione Medusa
durata 2h29m
Usa 2006
La trama: Tre
storie si intrecciano fra loro in varie parti del mondo. In Marocco una coppia
di americani in crisi, cerca di ritrovare l'equilibrio durante un viaggio. A San
Diego i loro due bambini sono sotto la custodia della badante messicana. A Tokyo
una giovane sordomuta cerca di ritrovare l'amore paterno. Mix globale e
multirazziale al servizio di un racconto sull'incomunicabilità e la follia del nostro vivere
moderno.
Il regista: Alejandro
Gonzales Inarritu nasce a Città del Messico nel 1963, studia regia teatrale e cinematografica, lavora come
produttore e dj nella più famosa radio rock del Messico, WFM, e produce la
colonna sonora di sei film. Nel 1995 dirige il suo primo mediometraggio TV, Detras
del dinero, con Miguel Bosè.
Amores perros
('00) è il suo primo film e lo impone all'attenzione internazionale, mentre
nel 2002 firma
uno degli episodi del film collettivo
11
settembre 2001.
Segue 21 grammi nel
2003 che è il suo primo film americano.
Il film: Si
conclude con questo film il lungo viaggio per il mondo del girovago e
apparentemente senza patria regista messicano Alejandro Gonzales Inarritu,
assetato di storie diverse, generate da culture lontanissime fra loro,
affascinato dal gioco del destino che si diverte ad incastrarle le une nelle
altre, senza apparente continuità temporale.
Terzo e conclusivo capitolo della
trilogia dedicato al caso dopo
Amores perros
e 21 grammi,
Babel, che ne conserva intatto il meccanismo ad incastri e la forza
narrativa, arriva attesissimo dopo le due precedenti e apprezzate prove del
regista ormai naturalizzato americano, e non tradisce le aspettative di chi ama
i temi legati al destino, alla casualità della vita, all'importanza che un gesto
effimero e inutile può avere sulle vite di persone che non si conoscono lontane migliaia di chilometri, che costituiscono l'humus
essenziale
del cinema di Inarritu.
Mentre in
Amores perros l'intreccio di storie rimaneva circoscritto alla
periferia di Città del Messico, allargandosi in
21 grammi
a diverse località degli Stati Uniti, in Babel il respiro si fa
globale, e la vicenda prende il volo abbracciando paesi lontanissimi fra loro,
sconfinando fra i continenti, gettandosi in una babele di lingue diverse, che
rendono i vari personaggi quasi dei burattini in balia di un mondo che non li
ascolta, dove regna l'incomunicabilità e almeno in apparenza, sono tutti
disperatamente soli.
Un colpo di fucile casuale da il via ad una serie di eventi che il regista
sfrutta al meglio come pretesto per raccontare la solitudine contemporanea,
l'incapacità di comunicare, l'importanza sopra ogni cosa del destino e non delle nostre
scelte, in un film sofferto, muto in un certo senso, raccontato molto per
immagini e suoni, che una moltitudine di lingue diverse, inutili perchè non portano i
protagonisti a capirsi fra loro, cerca di soffocare inutilmente sotto fiumi di
parole di idiomi diversi, che perdono miseramente in quello che dovrebbe essere
il loro ruolo primario, quella della comunicazione, inesistente e svuotata di
alcun valore umano.
Per assurdo il personaggio che urla di più in tutta la storia è quello della
sordomuta Chieko, e lo fa non attraverso l'inutilità del linguaggio, ma con
comportamenti che sfuggono al rigore e ai dettami del vivere sociale, o
attraverso la disperazione e il vuoto, incolmabile, che urlano letteralmente dal
proprio sguardo.
Un'esperienza dolorosa la visione di Babel, senza dubbi, ma rigenerante e
profonda, intima, che parla direttamente allo spettatore, toccando le corde del
proprio io più privato e nascosto, attraverso immagini e
sensazioni uniche, senza bisogno di tante parole.
Inarritu si affida per la sua opera più matura e compatta ai suoi collaboratori
abituali, come lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, il fotografo Rodrigo Prieto,
la scenografa Brigitte Broch, il montatore Stephen Mirrione e il musicista
Gustavo Santaolalla, già nei suoi film precedenti, che rappresentano il sigillo
dell'alta qualità tecnica dell'operazione.
Ma è il cast che dà quella scintilla
in più al film, e che lo rende memorabile. Dai divi Cate Blanchett e Brad Pitt,
al loro meglio, a Gael Garcia Bernal, già in
Amores perros,
a due fantastiche sconosciute attrici, la messicana Adriana Barraza e la
giapponese Rinko Kikuchi, che hanno veramente illuminato il film, raccontando
due personaggi indimenticabili, disperati e perdenti.
Girato fra California, Messico, Marocco e Giappone, e parlato complessivamente
in quattro lingue diverse, l'inglese (la meno parlata nel film), lo spagnolo,
l'arabo e il giapponese, più una serie più o meno lunga di idiomi
locali come il berbero, il film purtroppo perde la particolarità di questa
peculiare scelta stilistica nel
distratto doppiaggio italiano, in cui sono state tradotte tutte le lingue
parlate nella pellicola, appiattendo l'anima multirazziale dell'opera.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2006, Babel ha vinto
il premio per la miglior Regia. Ha inoltre vinto il Golden Globe come miglior
Film drammatico ed ha ottenuto sette candidature all'Oscar, fra cui Film, Regia,
Sceneggiatura e le due attrici non protagoniste (Barraza e Kikuchi), vincendo
quello per la miglior colonna sonora.
V.M.
versione per la stampa