LA 25a ORA
regia di Spike Lee
con Edward Norton, Philip Seymour Hoffman,
Barry
Pepper, Rosario Dawson, Anna Paquin
sceneggiatura David Benioff
fotografia Rodrigo Prieto
montaggio Barry Alexander Brown
scenografia James Chinlund
musica Terrence Blanchard
produzione Spike Lee, Jon Kilik, Tobey Maguire
distribuzione Buena Vista
durata 2h14m
USA 2003
La trama: le ultime ventiquattro ore di libertà per Monty Brogan, spacciatore di Manhattan, prima che venga rinchiuso in carcere per sette anni. In questo ultimo giorno Monty dice addio al padre, con il quale cerca di riallacciare un rapporto difficile, passa le ore con i suoi due amici Jacob e Slaughtery e con la sua ragazza Naturelle, che forse lo ha venduto alla polizia.
Il regista: uno dei più alti esponenti del cinema afroamericano, e uno dei più dotati e lucidi registi contemporanei, Spike Lee nasce ad Atlanta nel 1957 ed ha al suo attivo 26 tra lungometraggi, corti e documentari. Il suo film d'esordio è Lola Darling ('86), seguono Fa' la cosa giusta ('89), Mo' Better Blues ('90), Jungle Fever ('91), Malcolm X ('92), Clockers ('95), He got game ('98), S.O.S. Summer of Sam ('99), Bamboozled ('00). Possiede una sua casa di produzione, la 40 Acres e Mule.
Il film: tratto dal
romanzo omonimo dello stesso sceneggiatore David Benioff, sicuramente uno dei migliori film del 2003, La 25a ora costituisce un
lungo, interiore confronto del regista con la propria città, New York, ferita e
spezzata nelle sue certezze.
Come il protagonista del film, il regista vaga con la macchina da presa per le strade
strozzate dal traffico, nei vicoli puzzolenti, nei club notturni, e spazia con
occhio critico sulla voragine lasciata dal crollo delle torri a Ground Zero,
riprendendola voracemente, senza pietà, mostrando New York in tutta la sua
vulnerabilità, come un paziente sotto le luci di un tavolo operatorio.
Il film, che come Fa' la cosa giusta, si svolge in ventiquattro ore,
ruota attorno alle ultime ore di libertà di Monty Brogan, superbamente
interpretato da un Edward Norton sempre più bravo, affiancato da un altro
ottimo giovane attore americano, Philip Seymour Hoffman, prediletto da P.T.
Anderson (Boogie Nights, Magnolia,
Ubriaco d'amore), che insieme ci offrono grandi lezioni di recitazione.
Da non dimenticare l'eccellente Barry Pepper (Salvate il soldato Ryan), la splendida Rosario Dawson e il
premio Oscar Anna Paquin (Lezioni di piano).
La pellicola, fra le migliori del regista se non il suo capolavoro, è piena di momenti memorabili che
non si fanno dimenticare, dal
monologo pieno di rabbia di Norton davanti allo specchio, splendidamente montato
in alternanza con istantanee della città, al contronto fra Pepper e Seymour
Hoffman sullo sfondo notturno di Ground Zero, allo scontro risolutore in Central
Park, fino al poetico, struggente, sospeso finale.
Un vero "Must", da non perdere.
Intervista a Spike Lee
tratta da 35 mm.it
Da Summer of Sam a oggi cosa è cambiato?
Tutto il mondo! L'America
era stata molto fortunata: finora tutte le guerre erano sempre capitate altrove,
il territorio americano non aveva mai subito attacchi. Solo dopo l'attentato di
Oklahoma City e gli eventi dell'11 settembre gli Stati Uniti hanno vissuto
quello che il resto del mondo sapeva da tempo: vivere nel terrore.
La sua scelta di non
glissare sull'assenza delle Twin Towers nello skyline newyorchese è emblematica
del suo pensiero...
Ognuno è responsabile delle sue azioni. Capisco gli Studios e certi registi,
poiché non potevano prevedere come il pubblico avrebbe reagito a quelle
scene... Magari gli incassi ne avrebbero risentito. Io, ovviamente, non la vedo
così. Devo dire che anche alla Touchstone mi hanno fatto capire che meno
accenni avrei inserito, meglio sarebbe stato.
Libertà di parola, di
dissenso, di denunciare le magagne, politiche e non, del proprio paese. Il suo
cinema continuerà ad essere incentrato su tutto ciò?
Sì. Credo che in America stia diventando sempre più difficile parlare
liberamente, soprattutto se si tratta di voci dissidenti dalla massa. Ma credo
che sia una cosa che gli artisti abbiamo sempre fatto e che debbano continuare a
fare. Devono puntare sempre il dito contro i mali del mondo. E' importante...
Intervista a Barry Pepper tratta da 35 mm.it
Cosa ti ha attratto di
questo progetto?
Sono stato subito coinvolto dal libro, ancor prima che dallo script, ma quando
ho capito che Spike voleva raccontare questa storia "all'ombra"
dell'11 settembre, vi ho trovato un mucchio di risvolti metaforici inediti.
Spike Lee ama la sua città e questo mi ha convinto che sarebbe riuscito a
manovrare una materia così "bollente". Era già splendido che il film
assumesse qualche "senso" in più, ma quando l'ho visto e mi sono reso
conto di quanto è correlato all'urgenza della situazione geopolitica attuale,
mi sono sentito davvero orgoglioso di averci collaborato.
La scena che vi vede
interagire con Ground Zero è davvero degna di passare alla storia del cinema.
Puoi parlarcene?
Abbiamo girato quella scena a mezzanotte, quindi all'inizio avevo immaginato che
lo "sfondo" si sarebbe intravisto. Ma i lavori sono continuati 24 ore
su 24, con decine di camion e saldatori al lavoro in questo cratere immenso. In
quel momento mi sono reso conto che vivere quell'evento in una prospettiva così
"intima" - una sorta di presa diretta sul coraggio dei newyorchesi -
in un certo qual modo era una splendida opportunità, che mi avrebbe arricchito.
D'altronde eravamo partiti con l'idea di improvvisare molto, di lasciarci
coinvolgere emotivamente e così è stato: io, Philip Seymour Hoffman, Spike e
il direttore della fotografia Rodrigo Prieto dovevamo girare semplicemente dei
campi e controcampi, ma alla fine abbiamo optato per un'inquadratura unica, per
non rovinare l'atmosfera che si era creata. Va poi detto che - se pur avessimo
scelto per un approccio completamente diverso - non ci saremmo riusciti: pensa
che l'edificio che utilizzavamo per girare le scene del mio appartamento nel
film era stato seriamente danneggiato dopo l'attentato. Durante il periodo clou
delle riprese poi - l'estate del 2002 - tutti erano molto tesi e nervosi,
poiché c'era il timore di nuovi attacchi. Devi capire poi che io vengo dal
Canada, e per di più da una cittadina molto piccola: non mi sono mai avvicinato
così tanto ad una "zona di guerra" come in quel momento. In quel
momento ho avuto coscienza di quanto simili orrori fossero routine, avvenissero
in ogni parte del mondo da molto più tempo di quanto ci sia dato immaginare.