LA VIE EN ROSE

regia Olivier Dahan
con Marion Cotillard, Pascal Greggory, Sylvie Testud,
Gérard Depardieu, Emmanuelle Seigner, Clotilde Courau
sceneggiatura Olivier Dahan
fotografia Tetsuo Nagata
montaggio Richard Marizy
scenografia Olivier Raoux costumi Marit Allen
musica Christopher Gunning
produzione Alain Goldman
distribuzione Mikado
durata 2h20m

Francia 2007
 

La trama: La vita della grande cantante francese Edith Piaf, dall'abbandono della madre all'infanzia passata in una casa di tolleranza, dalla gioventù sbandata per le strade di Pigalle, agli spettacoli nei teatri di terz'ordine fino al successo planetario. Gli amori, le delusioni, la malattia che non hanno annientato il talento di un'artista indiscussa.


Il regista: Francese, nato nel 1967, Olivier Dahan studia arte a Marsiglia e inizia come pittore. Prima di passare al cinema ha realizzato diversi videoclip (anche per Zucchero). Esordisce nel lungometraggio con Already dead ('98) a cui seguono altri quattro film tra cui ricordiamo  Pollicino ('01) e I fiumi di porpora 2: gli angeli dell'Apocalisse ('04).


Il film: Terza cine-biografia della grande cantante francese dopo Piaf  di Guy Casaril ('74) e Edith et Marcel  di Claude Lelouche ('83), mai usciti in Italia, La vie en rose  arriva portando in sé intatto il mito della Mome, consacrando l'arte e la vita di una delle artiste più importanti e note della cultura francese, raccontando alcuni dei momenti più intimi della donna e dell'artista Edith Piaf.
Il regista e sceneggiatore Olivier Dahan trae spunto per la stesura del copione, da alcune foto giovanili della Piaf, in alcune ritratta ancora bambina, e realizza un melò romantico ed emozionante, commovente, intimo e tragico, che si sofferma molto sull'infanzia della Piaf, sugli abbandoni e i traumi che hanno poi influenzato la sua esistenza di donna e di artista. Il film, fin dalle prime immagini totalmente immerso in atmosfere anni trenta, non segue in ordine cronologico la vita della cantante, ma piuttosto si affida ai ricordi che riemergono dalla mente di una malata Edith Piaf, ormai alla fine dei suoi giorni, ricordi che appaiono e subito scompaiono, come fugaci flash di vita vissuta.
Fedele quasi al cento per cento ai fatti reali, Dahan si prende l'unica licenza artistica inventando il personaggio della prostituta Titine, che la piccola Edith incontra nella casa di tolleranza in cui è vissuta per qualche tempo. In fondo, tutta la vita della Piaf sembra un romanzo, e la sua storia già scritta dalla nascita, avvenuta il 19 dicembre 1915 in una strada di Belleville, quartiere della periferia di Parigi, sulla giacca di un poliziotto che soccorse la madre presa improvvisamente dalle doglie. Figlia di una cantante di strada e di un saltimbanco circense, la piccola Edith passa un'infanzia solitaria e sempre in movimento; quasi abbandonata dai genitori che non si occupano di lei, vive prevalentemente con parenti e per un lungo periodo viene lasciata presso la nonna materna che gestisce un bordello a Belleville. E' qui che molto presumibilmente Edith crea dei forti legami con alcune delle donne che lavoravano nella casa di tolleranza, ed a questo particolare momento dell'infanzia della cantante si è ispirato il regista creando appunto il materno personaggio di Titine.
A quindici anni la Piaf lascia la famiglia e inizia subito a guadagnarsi da vivere cantando per la strada. E' in questo periodo che incontra un'altra giovane sbandata, Simone "Momone" Berteaut, che le resterà amica per gran parte della vita. Vive una vita da accattona, cambiando continuamente casa e quartiere, e spesso viene arrestata insieme a Momone. In quel periodo Edith è stata una cantante definita "goualeuse", da goualer, termine che identifica una particolare tecnica vocale in cui la voce viene proiettata fuori con forza, lanciata lontano proprio perchè doveva arrivare alla fine di strade lunghe o agli ultimi piani dei palazzi. Il timbro di queste voci oltre a dover esser molto forte, di solito era sempre un po' rauco, mentre le loro canzoni raccontavano, in un francese volgare e dialettale, la miseria, la povertà, il vagabondaggio, l'amore e la prostituzione. E' sempre in questo momento che Edith Piaf incontra Jacques Prill, nel film interpretato da Depardieu, suo pigmalione, che la porterà nei teatri e che clonerà il suo nome d'arte Piaf, "passerotto".
La Piaf impersona la quintessenza dell'artista che vive la propria vita in funzione dell'arte. Ha alternato grandissimi traguardi professionali ad altrettanto gravi lutti e dolori personali. La sua vita è stata sempre un'altalenarsi fra lo splendore, il luccichio dei palcoscenici, fra il plauso delle platee e disastri nella vita privata, amori finiti male, droga, alcool e malattie. Nella vita è sempre stata complessata dalla mancanza di cultura e dimostrando un distacco innato verso le questioni pratiche e burocratiche, si è preoccupata soltanto dei suoi amori e delle sue amicizie, non pensando mai ai soldi e ai beni materiali, come se per certi versi fosse rimasta una bambina. Fortunatamente è sempre stata circondata da persone che l'amavano veramente e che non hanno mai cercato di raggirarla, come Jacques Prill, l'uomo che la scoprì, Louis Barrier, il suo manager, o Raymond Asso, che la trasformò in una vera professionista.
Il film, che non ha titoli di testa ed inizia subito con la voce della Piaf che inonda la sequenza d'apertura, trascura volontariamente i momenti più celebri e conosciuti della vita della cantante, come l'amore per Yves Montand o gli incontri con Jacques Prévert, Charles Aznavour o Jean Cocteau, soffermandosi su aspetti più intimi e meno noti, in una sorta di appropriazione che il regista ha voluto fare della donna Edith Piaf, raccontandola dal suo punto di vista, riflettendo soprattutto sulla vita dell'artista in senso universale, sull'angoscia della creazione artistica e sulla difficoltà di bilanciamento fra arte e vita quotidiana.
Una delle carte vincenti del film resta comunque Marion Cotillard, prima oculata scelta del regista che ha lottato per imporla ai produttori vista la sua poca notorietà internazionale e l'alto budget del film. L'attrice ha saputo trasformarsi nella Piaf in una mutazione (anche fisica, con cinque ore di trucco giornaliere) che l'ha resa celebre a livello internazionale, e che le ha garantito riconoscimenti universali, tra cui il Golden Globe, il Bafta e, unica attrice dopo Sofia Loren a vincere per un film non in lingua inglese, l'Oscar.
La Cotillard ha letteralmente riportato in vita Edith Piaf, imparandone non solo la gestualità, la postura e le espressioni del viso, ma soprattutto il modo di interpretare le canzoni della cantante, studiando tecniche di respirazione per articolare alla perfezione i movimenti delle labbra durante i playback, rasentando un perfezionismo diventato ormai celebre.
Benché nel film siano state usate registrazioni originali della vera voce della Piaf, Marion Cotillard ha interpretato personalmente due brani inseriti nella colonna sonora.
                                                                                                                      V.M.


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