IL
CERCHIO
di Jafar Panahi
drammatico Iran/Italia '00 durata 1h31m
Gli Interpreti: Fareshteh Sadr Orafi (Pari), Maryiam Parvin Almani (Arezou),
Nargess Mamizadeh (Nargess).
La Trama: I destini di un pugno di donne sole si incrociano fra le strade di Teheran dove non nascere uomo è la prima disgrazia. Una donna ha appena dato alla luce una bambina ed è già un'indesiderata. Tre detenute hanno ottenuto un permesso di libera uscita dal carcere e una di queste, priva di un compagno di viaggio, deve mentire per riuscire a comprare il biglietto di un autobus. Una donna non sposata scappa di prigione per abortire ed è costretta a lasciare la casa paterna. Una bambina viene abbandonata da sua madre che spera per lei un futuro migliore. Una prostituta viene condotta in carcere.
Il Regista: Nato nel 1960 a Mianeh, Panahi ha studiato regia alla Scuola di Cinema e Televisione di Teheran e dopo aver girato cortometraggi e mediometraggi per la televisione iraniana ha lavorato come aiuto regista di Abbas Kiarostami in Sotto gli ulivi. Questo è il suo terzo lungometraggio dopo Il palloncino bianco (Camera d'or per la Migliore Opera Prima al Festival di Cannes nel 1995), e Lo specchio (Pardo d'oro al Festival di Locarno nel 1997).
Il Film: sottoposto in Iran al vaglio di quattro livelli di censura, Il
cerchio ha vinto il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2000
scatenando in patria le polemiche dei critici più integralisti che lo hanno
bollato come "un film disonorevole e degradante per le donne". In
realtà il film è un atto d'accusa contro la condizione della donna in Iran che
deve lottare quotidianamente per i propri diritti. Per la prima volta in un film
iraniano vengono trattati apertamente argomenti come l'aborto e la
prostituzione; mai prima d'ora si erano viste nella cinematografia iraniana
inquadrature immortalare una donna fortemente truccata, con i capelli
scomposti che escono dal chador, fumare apertamente davanti la macchina da
presa.
Approfondimento:
Come si può essere donne nell'Iran di oggi è difficile dirlo. Ma si possono
raccontare le difficoltà e descrivere le solitudini. Si può offrire una
riflessione più profonda e sofferta sul concetto di libertà, denunciando la
condizione femminile nella società iraniana di oggi, schiacciata da maschilismo
e integralismo. E' quello che ha fatto con Il cerchio, Jafar
Panahi. Lasciando perdere, almeno per una volta, bambini e metafore tipiche del
cinema iraniano, Panahi ha accarezzato l'idea di fare un film tutto al femminile
e senza veli. Racconta: "Un
giorno sono stato colpito da un trafiletto di giornale: Donna si toglie la vita
dopo aver ucciso le sue due figlie. Non c'era nulla circa le cause del gesto,
probabilmente il giornale non aveva ritenuto di nessun interesse riportarle, dal
momento che in molte comunità le donne sono i soggetti più deboli. La loro
libertà è così limitata che è come se vivessero in una grande prigione."
E infatti Panahi sceglie di seguire tre donne che hanno ottenuto un permesso di
libera uscita dal carcere. Attraverso i loro percorsi in giro per la città,
incontriamo altre donne, indebolite dalla paura e dalla solitudine. Una
condizione uguale per tutte, spiega il regista, poiché "E'
come se ogni donna potesse essere sostituita da un'altra in un cerchio, e questo
finisce per renderle tutte uguali."
Le loro storie emergono dall'ignoto, davvero come tanti "palloncini bianchi
, e acquistano un volto ed un nome, si mescolano, si confrontano, ci costringono
a confrontarci con esse. Il loro universo è fatto di burocrazia, controllo ed
antiche discriminazioni. A cominciare dalle tre donne appena uscite di galera:
Arezou (il cui nome vuol dire "speranza"), che è infastidita dal non
poter fumare in pubblico e dai fischi degli uomini per strada; Elham, che vive
con la paura che suo marito medico scopra i suoi trascorsi; Monir, costretta ad
accettare il fatto che suo marito abbia preso una seconda moglie.
A questi tre personaggi se ne aggiungono altri. Solmaz Gholami
(ovvero "fiore eterno"), il cui futuro appare cupo poiché ha partorito
una bambina invece di un maschio, come tutti si aspettavano; Nargess
("fiore"), innocente bocciolo dalla sensualità repressa; Pari, che
deve accettare il duro ammonimento di un'altra donna: "senza uomo non vai
da nessuna parte"; Nayereh, che ha provato - senza riuscirvi - ad
abbandonare la figlia; infine Mojgan, che non ha paura di dire ciò che pensa.
Otto ritratti per un film corale che si presenta, se non rivoluzionario,
indubbiamente singolare.